L’Emilia Romagna contro il Coronavirus: Venturi come Cincinnato (di Andrea Marsiletti)

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Non c’è potere senza paura” diceva Renato Curcio.

Anche lui ha detto una cosa giusta in vita sua.

Già, perchè nulla più della paura unisce, accomuna in un destino insieme, conferisce autorevolezza.

Oggi il Commissario della Regione all’emergenza Coronavirus, Sergio Venturi, penso sia il rappresentante delle Istituzioni in cui più gli emiliani romagnoli si identifichino in queste settimane di drammatica emergenza sanitaria.

E’ lui che ogni giorno alle ore 17.30 fa le dirette Facebook sulla pagina della Regione, è lui che per primo e unico comunica i numeri del contagio, provincia per provincia, è lui che si scaglia contro il “cazzeggio delle passeggiate e delle corsette”, è lui che si commuove quando fa le condoglianze alle famiglie dei decessi. Ma anche che cerca di infondere speranza, valorizzando ogni progresso, i trend in riduzione, le eccellenze del Sistema sanitario, del privato sociale e del volontariato. Un perfetto mix di competenza e umanità.

Venturi è diventato il simbolo social della lotta contro il Coronavirus in Emilia Romagna.

Proprio lui, per cinque anni l’assessore anti-mediatico per eccellenza sebbene la sua delega alla Sanità impegnasse due terzi del Bilancio regionale, oggi è l’unica faccia che spende Bonaccini. La migliore, la più credibile.

Il popolo lo attende trepidante e impaurito davanti allo schermo del computer, si complimenta, lo ringrazia con sempre maggiori affetto e famigliarità. Lui lo rassicura, senza nascondergli nulla.

Con le sue citazioni alle favole di Esopo, inspira la creatività dei bambini che gli mandano i loro disegni che Venturi mostra in diretta. E mentre richiama tutti a rimanere in casa, suggerisce la visione di alcuni film, la lettura della “Repubblica di Platone”, a godersi i propri affetti nel focolare domestico.

E pensare che dopo cinque anni da assessore, qualche mese fa aveva deciso di abbandonare la scena pubblica.

Ma nel momento della massima necessità per lo scoppio della pandemia del Coronavirus in Emilia Romagna, Bonaccini lo ha richiamato in servizio col ruolo di commissario regionale.

Lui ha accettato.

Sergio Venturi come Lucio Quinzio Cincinnato.

Già, come il personaggio dei primi decenni dell’età repubblicana raccontato da Tito Livio. L’emblema dell’ideale del romano: un uomo esemplare nel suo cursus honorum, integerrimo, laborioso, votato alla causa pubblica ma che, nonostante i meriti acquisiti, non insuperbisce e si ritira a vita semplice e modesta, senza pretendere onori.

Cincinnato fu un console che esercitò l’alta magistratura con grande consenso. Poi lui stesso rifiutò il reincarico per tornare ai suoi campi e a vivere dei prodotti della terra.

Ma Roma aveva davanti a sè un periodo difficilissimo a causa degli scontri interni tra patrizi e plebei e delle guerre contro i Volsci. All’unanimità vennero sospese le cariche dei consoli e nel 458 a. C. nominarono Cincinnato dittatore con pieni poteri, in quanto l’unico che aveva la forza e il prestigio per portare Roma fuori dalla crisi.

Quando gli ambasciatori lo raggiunsero per comunicargli la decisione e inviarlo ad accettare l’incarico, Cincinnato stava coltivando. Egli non fece obiezioni, riportò la vanga nel fienile, prese le armi dal ripostiglio, si presentò al Campo Marzio dove aveva già dato ordine fossero convocati i cittadini destinati alla campagna militare.

E furono subito vittoria e trionfo sugli Equi.

A soli sedici giorni dalla nomina a dittatore, con grande anticipo sulla sua scadenza naturale (sei mesi), Cincinnato non volle né onori né ricompense in denaro, ritenne esaurito il suo mandato, restituì i poteri e tornò di nuovo nel suo podere, felice per aver compiuto il suo dovere.

Per Tito Livio, Cincinnato, ormai anziano, sarebbe stato nominato dittatore una seconda volta, nel 439 a. C., in un altro periodo di gravi contrasti interni, ma la maggior parte degli storici non lo ritiene possibile.

Credo neppure Sergio Venturi lo ritenga possibile.

Grazie Commissario.

Andrea Marsiletti