
13/03/2013
Intervista a Mara Morini, “renziana” purosangue, membro della segreteria provinciale del PD di Parma (leggi l’articolo “La galassia dei renziani a Parma“.
Ti aspettavi questo risultato deludente del PD al 25,5% alle ultime elezioni politiche?
Ascoltando l’opinione della gente che ho incontrato durante le primarie, era ben evidente la richiesta di un profondo rinnovamento nella e della politica a partire dalla classe dirigente del PD. Non mi ha, pertanto, sorpreso, ma ho evitato di esprimere il “ve lo avevo detto” o “se c’era Renzi…” che ex post possono solamente alimentare inutili polemiche.
Ciò non toglie che un partito che perde oltre tre milioni e mezzo di elettori e ottiene il risultato più deludente dalla sua fondazione, anche rispetto alle ultime elezioni del 2008, deve prendere seriamente consapevolezza – non solo con “demagogiche liturgie”, ma con fatti – della pesante sconfitta politica di un partito all’opposizione che, in un paese normale e con un centrodestra in difficoltà, avrebbe dovuto tranquillamente raggiungere almeno il 40% dei consensi. Programma e leadership non erano evidentemente credibili.
Secondo te cosa non ha funzionato nella campagna elettorale di Bersani?
Non hanno funzionato diversi aspetti basilari delle campagne elettorali.
Primo errore: parlare della gente e non con la gente (magari nelle piazze!). E’ stata sottovalutata l’importanza della comunicazione politica come elemento che mette in relazione e, quindi, coinvolge gli elettori e le elettrici in un progetto politico convincente, che non ha trovato riscontro nel programma, inefficace dal punto di vista della chiarezza e delle priorità tematiche (gli 8 punti sarebbero stati più immediati e concreti).
L’ambiguità delle alleanze: proporre una coalizione alle primarie, per poi ampliarla con ammiccamenti al centro di Monti e Casini, sostenendo, quindi, la “volontà” di D’Alema & co., danneggiando elettoralmente SEL e rinunciando alla vocazione maggioritaria del partito. L’immagine del leader conta nella scelta di voto e Bersani, seppur persona seria e competente rappresenta un “usato sicuro”, ma conservatore di schemi e tatticismi politici fortemente criticati dall’elettorato.
Infine, ma ci sarebbero altri aspetti, la presunzione di una superiorità morale, espressa nello slogan “Italia giusta”, (non vogliamo i voti di quella “sbagliata”…?) sulla quale si è adagiata la dirigenza dopo il risultato delle primarie, dimostrando, ancora una volta, di aver stravolto uno dei più efficaci meccanismi di democrazia interna ai partiti.
Oggi sono in tanti a sostenere che Renzi avrebbe vinto le elezioni. Tu che dici?
Credo che la candidatura di Renzi avrebbe semplificato l’offerta elettorale poiché Berlusconi non si sarebbe candidato, probabilmente anche Monti e, quindi, avrebbe intercettato il consenso dei moderati e, cosa più importante, ridimensionato il successo elettorale del M5S.
Tuttavia c’è chi ritiene che il sistema elettorale “porcellum” non avrebbe consentito nemmeno a Renzi di formare un governo. A questa obiezione rispondo che nel 2008 Berlusconi è riuscito a governare stabilmente sino ai conflitti emersi nella sua maggioranza. L’unica perplessità è il risultato della Lombardia (anche se Renzi come candidato Premier avrebbe potuto con il suo programma innovativo “trainare” più voti ad Ambrosoli) per il quale credo sia necessario non solo un’analisi socio-politologica, ma antropologica-culturale. Non si può ricondurre la questione morale solamente nell’ambito politico…
E adesso? Quale soluzione auspichi per risolvere l’empasse del senato? Cosa suggeriresti a Bersani di fare?
Innanzitutto mi auguro che si eviti il ritorno alle urne a breve termine e con questo sistema elettorale.
Mi tranquillizza il fatto che il Presidente Napolitano seguirà i passaggi, costituzionalmente garantiti e ponderati.
L’ipotesi di un incarico a Bersani di formare un governo è un percorso che, personalmente, credo sia giusto perseguire, mettendo in luce le contraddizioni del gruppo parlamentare dei M5S: se vogliono distinguersi dalla “vecchia” e “cattiva” politica della casta, dovrebbero dimostrare di amare il loro paese, assumendosi la responsabilità di dare la fiducia al governo.
Suggerirei a Bersani di non scendere a compromessi di vecchio stile politico, ma di essere determinato e chiaro nelle tematiche (costi della politica, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, etc…) che non sono di dominio esclusivo di Grillo, ma sono sempre state nel Dna del PD. Se si riuscisse a superare lo scoglio della fiducia, si potrebbe anche optare per un governo di minoranza in presenza di un temporaneo stato di necessità che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, sono operativi e produttivi, come dimostra la produzione legislativa dei 24 governi monocolore tra il 1945 e 1999 in Italia.
Venendo a Parma. Pensi che debba cambiare qualcosa nel partito? Cosa?
Tutto, come a livello nazionale.
In primis, la dirigenza politica che soffoca la dialettica interna al nostro partito e, ancora oggi, tende a minimizzare il risultato elettorale, dimostrando di anteporre il proprio interesse personale e il mantenimento di una rendita di posizione, alla sopravvivenza del partito e ai bisogni della collettività. Il segnale che ci è stato dato dagli elettori è di avviare un serio e credibile rinnovamento del personale politico (e non solo in termini generazionali, se penso al linguaggio e alla mentalità novecentesca dei “giovani turchi”), dello stile e dei contenuti ovvero di un’identità ben definita che sembra essersi fermata all’esperienza e alle eredità negative del PD meno S (e lo dice una persona che proviene dalla tradizione dei Democratici di Sinistra…).
Credo che sia opportuno, se le condizioni istituzionali lo consentiranno, anticipare il congresso del partito per rilanciare la proposta di governo nella direzione indicata dal progetto politico di Matteo Renzi. È la nostra ultima occasione. Tacere su questi aspetti significa non avere a cuore il progetto del PD e rendersi complice della sua lenta agonia per liquidarlo semplicemente con:“l’idea era buona ma non ha funzionato”.
Impossibile, quindi, riportarmi nei “ranghi del partito”, confondendo l’unanimismo delle opinioni con l’unità del partito.
E’ un sogno pensare ad un prossimo segretario provinciale del PD “renziano”?
Chi si candiderà a questo ruolo troverà dinanzi a sé diverse problematicità interne ed esterne al partito. Dalla valorizzazione del ruolo e delle attività dei circoli nei territori, al maggiore coinvolgimento dei militanti nel processo decisionale al ritorno ad un’efficace formazione politica che operi un “sano” reclutamento del ceto politico e, soprattutto, alle strategie da adottare nelle amministrazioni in previsione del prossimo ciclo elettorale 2014.
E’ evidente che nel nostro partito ci sono diverse sensibilità o tendenze, ancora persistenti dai precedenti congressi che probabilmente esprimeranno un proprio candidato. E’ probabile che ci sarà anche un/a candidato/a renziano/a, ma se emergeranno convergenze sull’identità, sulla linea politica e sull’idea strutturale del partito e sulle capacità e moralità del candidato, che rappresentino la massima discontinuità con l’attuale dirigenza, credo che tutti coloro che auspicano il cambiamento andranno oltre le varie etichette e consentiranno di applicare uno dei principali criteri democratici: l’alternanza alla guida del partito.
Spero che questo non sia solamente un sogno perché un partito che si professa democratico e vuole reagire alla sconfitta elettorale, deve assicurarsi che non rimangano accesi tizzoni pericolosi nel “caminetto”…
CC