
12/01/2010
Livingstone, Zambia, dicembre 2009.
Lo spettacolo che abbiamo di fronte è impareggiabile: le cascate Vittoria, 1700 mt di sviluppo orizzontale per 110 mt di altezza, un fiume enorme, lo Zambezi, che percorreremo in canoa a partire da domani.
Raggiungiamo Livingstone dopo un’estenuante viaggio di 30 ore ripartite tra aereo e autobus.
Siamo partiti che nevicava, qui ci sono 35°C e un sole accecante.
Ero giù stato qui nel 1998, sempre per andare in canoa sullo Zambezi, uno dei fiumi più grossi e impegnativi del pianeta.
Ma anche uno dei più commerciali, infatti molte agenzie turistiche inseriscono nei loro programmi di viaggio alle cascate, oltre ai safari, la discesa in rafting della Batooka gorge, il nome della gola che si forma a valle delle cascate.
Lo Zambezi un placido, caldo e enorme fiume tropicale, nasce nel nord dello Zambia e, dopo un lento percorso attraverso lo Zambia stesso e l’ Angola, precipita dall’altopiano sul quale scorre, in una nerissima e profonda gola, chiamata appunto Batooka dai locali.
A partire da questo punto il fiume segna il confine tra Zambia e Zimbabwe.
Le cascate si chiamano Mosi-oa-Tunya “fumo che tuona”, e immagino lo stupore di Jonhatan Livinstone nel 1855 quando, durante l’esplorazione della zona, si trovò di fronte quella che ora e’ considerata come una delle 7 meraviglie del pianeta.
Lo scopo di Livingstone, esploratore missionario, oltre a quello di portare la parola di Cristo in questa remota parte d’ Africa, era quello di trovare una idrovia che consentisse i commerci inglesi tra l’est e l’ovest del continente senza dover doppiare il Capo via mare.
Le cascate e la gola sottostante erano quindi un ostacolo insormontabile per le aspirazioni commerciali dell’impero, ma lo spettacolo lo aveva impressionato a tal punto da dedicare il nome stesso alla sua regina.
Quello che per l’impero coloniale inglese era stata una delusione, è il nostro divertimento e la nostra meta.
Passiamo il primo giorno, un poco storditi dal viaggio, a visitare le cascate e la città, circa 15.000 abitanti, verdissima in questo periodo dell’ anno, dove ancora si possono trovare delle vestigia della dominazione inglese (fino al 1964 lo Zambia era la Rhodesia del Nord), quali lo storico albergo di fine ‘800 e i grandi viali alberati.
Pochissimi turisti e comunque tutti nelle ospitali e comode lodge dove anche noi abbiamo una camera.
Siamo in tre: io, Federica, la mia compagna e Matteo il mio inseparabile compagno di viaggio, milanese.
L’atmosfera della città è molto rilassata benchè in centro ci sia abbastanza caos.
Lo Zambia non è un Africa povera nel senso che la natura è rigogliosa e fornisce i suoi abitanti di tutto ciò che hanno bisogno per sfamarsi, oltre alla sussistenza però c’è poco, almeno secondo i nostri canoni.
Al di fuori della città solo villaggi di capanne, senza luce nè acqua.
Mentre facciamo il giro sul ciglio delle cascate il primo disastro del viaggio: cado con la macchina fotografica in acqua, senza il contenitore stagno naturalmente.
Disperazione: passo 2 ore per la città a cercare dei microcacciaviti per tentare di smontare il teleobbiettivo e farlo asciugare.
Ho altre 2 macchine foto, sono previdente, ma ho inzuppato la migliore che ho.
Mi ritrovo a passare la serata, dopo aver comunque organizzato la discesa in canoa per il giorno dopo tramite un mio amico francese residente qui, a fare un lavoro di precisione che ben poco mi si addice, disperando comunque di riuscire a rimediare al disastro.
E vabbè.
La mattina siamo pronti… sono pronto, la Federica e Matteo che scenderanno in gommone non sono per niente convinti, hanno sentito troppi racconti su questo fiume per intraprendere la discesa con tranquillità.
E’ effettivamente enorme, come si può vedere dalle foto, per dare un’ idea della portata in questo periodo ha circa 1200 metri cubi al secondo (il Taro la notte di Natale probabilmente non superava i 600), però è calda (28°C), però ci sono i coccodrilli, però i gommoni si ribaltano etc etc.
Matteo è un ottimo canoista, ma per il primo giorno preferisce scendere in gommone, più stabile, per verificare la grandezza e difficoltà delle rapide.
E andiamo in fiume.
Nonostante l’abbia già fatto (ero stato qui quasi un mese nel 98), sono emozionato e impaurito anch’io quando mi imbarco sotto la cascata a Boiling Pot (pentola ribollente).
Noi canoisti europei non siamo abituati a simili volumi d’acqua e i primi km normalmente sono abbastanza ansiogeni.
Poi ci si abitua.
La discesa dei due baldi compari non inizia benissimo, nelle prime 5 rapide si ribaltano 5 volte, la loro giuda, Potatoes, un ragazzo di colore, non è molto in forma, tanto che la Federica, all’ennesima emersione da sotto il gommone flippato, mi apostrofa con un terribile “questa me la paghi”.
In canoa vado bene, mi sono allenato molto, e tolti i primi nervosi km iniziali, mi diverto un mondo.
Vediamo pure qualche piccolo coccodrillo, ma tra le rapide sono veramente piccoli, non più di un metro, praticamente innocui.
Quelli grossi e mortalmente pericolosi sono più a valle, nel tratto basso del fiume.
Le rapide sono 25 e tutte hanno un nome, il fiume è stato disceso per la prima volta da un gruppo di fortissimi canoisti americani, nel 1983 e aperto commercialmente alle compagnie rafting nel 1986.
La giornata è torrida e altri due disastri si aggiungono al conto del teleobbiettivo affogato ieri sera: a mezzogiorno sono, incredibile a dirsi visto che sono in fiume, disidratato e alle soglie di un colpo di calore, ma non ho con me le pasticche di micropur per depurare l’acqua, una leggerezza incredibile.
Tra i due mali scelgo quello minore e bevo l’acqua del fiume: il mio stomaco è tuttora in subbuglio.
Poi, alla rapida 18 (Oblivion, un nome un programma), un’ondata evidentemente più violenta delle altre (ci sono onde alte sino a 5 mt) mi strappa letteralmente di dosso la macchina fotografica subacquea che ho nel salvagente.
E’ dura l’avventura.
Mi viene da piangere, considerato che l’avevo appena comprata, ma non voglio rovinarmi la vacanza, del resto le foto in fiume in questo servizio sono state scattate da un gentilissimo ragazzo americano, ottimo canoista che è sceso con noi.
Apro una parentesi folkloristica, ma forse nemmeno tanto: il Dio del fiume Zambezi per la tribù Tonga che vive sulle sponde del fiume, è Nyminyami, un incrocio tra un serpente e un pesce.
E’ un Dio che li protegge e li sfama nei periodi di carestia e chiunque si avvicini al fiume deve necessariamente indossare il ciondolo che lo raffigura, pena sventura e incidenti.
Ieri e oggi non lo avevo, e meno male che non sono superstizioso.
Finisce la giornata che siamo sfiniti, ma anche la Federica e Matteo alla fine si sono divertiti ed esaltati.
Il rientro in camion verso Livingstone, attraverso il bush e la savana, è meraviglioso e solo questo meritava lo sforzo di essere arrivati fino a qui.
Il giorno successivo scendiamo ancora in canoa, oggi anche Matteo opta per il kayak in luogo del gommone e la giornata passa veloce ed esaltante.
Siamo sotto Natale che, nonostante il caldo, è molto sentito anche qui.
Organizziamo per andare a fare un safari fotografico di 4 giorni al Kafue National Park, nel centro dello Zambia, abbandoniamo Livingstone, molto a malincuore, ma del resto è un paese talmente vasto e ci sono così tanti animali che non vale la pena rimanere in un posto solo.
E’ la stagione delle piogge e questo è un grosso limite per gli avvistamenti, ma confidiamo nella buona sorte e nel fatto che, essendoci pochissimi turisti gli animali siano più tranquilli e confidenti.
Il giorno di Natale lo passiamo in autobus, 14 ore, e la sera la nostra guida, un ragazzo di colore, Kennedy, si perde mentre cerchiamo il campo per la notte.
Scendere dal bus non si può (si legga: leoni, leopardi, elefanti, ippopotami e compagnia) e la prospettiva di passare la notte in bus non è esaltante, ma come recita una frase su un libro che è diventato il mio motto quando viaggio “in questi paesi le cose non vanno come nei paesi occidentali: se pensate e sperate che tutto vada bene, non dovreste essere qui”.
Comunque arriviamo che è notte, siamo sulle rive del Kafue River: appena scesi, montate le tende, la guida ci dice “ non uscite dalle tende perchè gli ippopotami vi attaccano e vi uccidono”.
Ah, bene, grazie, io ho la dissenteria e come ci vado nel cespuglio?
L’ippopotamo è l’animale che uccide di più in Africa a dispetto della sua aria pacioccona, è molto aggressivo specialmente la notte quando esce a pascolare, ed è molto agile, nonostante la mole.
Infatti la mattina alle 3.30 mi sveglio per il rumore che i “besti” fanno alle mie spalle.
Passo un’ ora tremenda disperando di riuscire a trattenere il mio intestino, poi per fortuna li sento allontanarsi e la luce del giorno mi restituisce forza e vigore.
Il posto è da favola benchè non possiamo allontanarci dal campo e non possiamo avvicinarci all’acqua.
Non possiamo allontanarci dal campo per via dei leoni e niente acqua per via dei coccodrilli.
Ci portano in giro su una jeep aperta e solo la prima ora del giro che facciamo nel parco (che per intendersi ha una superficie superiore a quella della Lombardia) ci fa dimenticare il viaggio di ieri e la notte con gli ippopotami: zebre, antilopi, alocefali, kudu, facoceri e poi i ghepardi, uno spettacolo.
Il paesaggio, con un orizzonte ampissimo e con l’aria pulita dai temporali è da mozzare il fiato.
Durante il giorno, causa caldo rimaniamo al campo all’ombra di un grosso albero, poi la sera di nuovo in giro a cercare animali.
Elefanti, licaoni poi leoni, ancora ippopotami e coccodrilli oltrechè centinaia di antilopi e gazzelle di tutte le specie.
I giorni passano sempre troppo in fretta quando si sta bene e non facciamo quasi a tempo ad adattarci al posto che giù dobbiamo rientrare in Italia.
Si ringrazia www.valtaro.it per la collaborazione.