“Non dobbiamo confondere il diritto con la politica”

SMA MODENA
lodi1

27/08/2013
h.15.20

Carissimi,
Vi ringrazio della vostra lettera.
La questione dell’incandidabilità ha due profili: uno politico-costituzionale e uno tecnico-giuridico.
Sotto il primo aspetto, riemerge la pretesa del Sen. Berlusconi di essere al di sopra della legge, riportando questo paese, con una vera e propria lacerazione della Costituzione, al contesto anteriore alla Rivoluzione Francese del 1789, che ha portato all’introduzione dello Stato di diritto e, con esso, al principio della soggezione e dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Una tendenza, che, negli anni del berlusconismo, si è già concretizzata con le leggi “ad personam”, a partire da quelle sulla riduzione a metà dei termini prescrizionali e della cancellazione del reato di falso in bilancio, che ha risparmiato al Sen. Berlusconi il giudizio di merito (= colpevole o no) in non pochi, complicati, processi.
Sotto questo profilo, credo che le parole del Presidente della Repubblica siano un riferimento forte, nella loro puntualità costituzionale e politica.
Sotto il secondo profilo, la c.d. legge Severino (= D.Lgs. 31.12.2012, n. 235) è molto chiara: l’art. 1, infatti, stabilisce, alla lett. a) che “non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore” coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per alcuni delitti, tra i quali quello di frode fiscale.
È esattamente il caso del Sen. Berlusconi.
Aggiungo che non vedo profili di costituzionalità.
Si parla di retroattività della norma. Quali?
La sentenza della Cassazione è dell’1 agosto u.s., mentre la legge è entrata in vigore il 5 gennaio 2013, cioè prima o contestualmente all’indizione dei comizi elettorali e, comunque, prima della celebrazione delle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013. Sotto il profilo temporale, non vedo neanche la possibilità di ipotizzare la retroattività.
Quanto agli altri pretesi aspetti di incostituzionalità rinvio alla decisione 6 febbraio 2013 n. 695 della Sezione V del Consiglio di Stato, che Vi allego. Quest’ultima, decidendo su una questione di incandidabilità in base alla c.d. legge Severino, ha, richiamando sentenze della Corte Costituzionale, escluso che le ipotesi contemplate dalla citata legge abbiano natura di sanzione penale o amministrativa e, nemmeno, di “disposizioni in senso ampio sanzionatorie” (pg. 4 sent.), così escludendo tanto l’applicabilità dell’art. 25 Cost. (II comma: irretroattività delle norme penali), quanto dell’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in tema di misure “lato sensu” sanzionatorie (pg. 5 sent.). E ha, altresì, inquadrato la misura prevista dalla c.d. legge Severino come “causa (legale) di indegnità morale” a ricoprire la carica di parlamentare (pg. 4 sent. con rinvio a Corte Cost. 31 marzo 1998 n. 114, relativa alle analoghe fattispecie previste dalla L. 18 gennaio 1992, n. 16).
Questo è il quadro. Questa è la questione giuridica, la sola che mi deve interessare come membro della Giunta delle Elezioni.
Orbene, su queste premesse, mi permetto di ricordare – anche a chi, nel PD, parla di riconoscimento del diritto di difesa, prefigurando il ricorso alla Corte Costituzionale a prescindere dall’esistenza dei presupposti giuridici richiesti – che il presupposto per ricorrere alla Corte Costituzionale è la “non manifesta infondatezza” dell’eccezione di incostituzionalità.
Allo stato del dibattito, non mi pare che ricorra questo requisito per nessuna delle eccezioni prospettate a mezzo stampa.
È diritto e non politica: non mi farò trascinare, il 9 settembre, su questo secondo piano, ma mi auguro che di questo tengano conto tutti.
Non abbiamo bisogno, noi del PD, che si confondano i piani.
Spero di essere stato chiaro, nonostante la tecnicità della materia.
Grazie di avermi interpellato!

Giorgio Pagliari