Peste suina africana, certificati 52 casi nel parmense: la mappa del contagio

SMA MODENA
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Sono 52 (al 19 aprile) i casi di peste suina africana (Psa) che ha colpito i cinghiali, certificati dall’Ausl di Parma, dal primo caso registrato di Tornolo del 29 gennaio di quest’anno. In provincia di Piacenza, dove il primo caso registrato è del 9 novembre del 2023, sono 102. Parma e Piacenza sono le sole province dell’Emilia-Romagna al momento coinvolte.

I comuni in zona di restrizione I sono ventidue: Albareto, Bardi, Bedonia, Berceto, Borgotaro, Bore, Calestano, Collecchio, Compiano, Felino, Fornovo, Medesano, Noceto, Pellegrino Parmense, Sala Baganza, Salsomaggiore, Solignano, Terenzo, Tornolo, Varano Melegari, Varsi e Valmozzola.

“Conosciamo e affrontiamo questa malattia da tempo ci spiega Marco Pierantoni, direttore del dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Parma e del servizio veterinario igiene alimenti di origine animali, sempre all’interno dello stesso dipartimento. Dal punto di vista mediatico c’è questo clamore, perché è arrivata anche a Parma che è la culla della produzione della salumeria, non solo italiana. Ma in Europa c’è dal 2007, i primi casi in Russia e Georgia e nel 2014 in Polonia. Ribadisco che questa è una malattia letale per i suini e i cinghiali, ma in alcun modo pericolosa per l’uomo”.

Oggi i paesi europei coinvolti sono dodici e le regioni Italiane nove: Piemonte Liguria Lombardia, Emilia-Romagna Toscana, Lazio, Campania, Basilicata e Sardegna, anche se nell’isola il ceppo di virus è diverso da quello asiatico che abbiamo qui.

“L’epidemia di peste suina africana compare in Italia, a Vada in provincia di Alessandria il 6 gennaio del 2022 – prosegue Pierantoni. Questa malattia non ha confini e uccide il 90-95% degli animali, consideriamo che nelle nostre zone si stima che ci siano alcune migliaia di capi, un milione e mezzo in Italia. Anche questa mattina, nelle aree che stiamo mappando abbiamo trovato un campione, una parte di cinghiale che analizzeremo”.

Il ritrovamento nel Comune di Varano Melegari è molto distante dai precedenti come lo spiegate?

“Dato che è avvenuto sul fiume Taro, si ipotizza che il cinghiale possa essere stato trasportato dal fiume, in effetti c’è un grosso margine di territorio tra i precedenti ritrovamenti e questi. Il lavoro che stiamo facendo ora è verificare in modo attento tutte le zone attorno a quelle del ritrovamento, per capire se è un’anomalia o se la malattia è arrivata anche qui. Una cosa che ci può aiutare a rallentare il propagarsi del contagio è l’Autostrada della Cisa che fa da barriera. La Regione e la società che gestisce l’infrastruttura stanno lavorando per chiudere meglio sottopassi, viadotti e ponti”.

Nella fotografia (fonte Siman Gia) aggiornate all’19 aprile si vedono i focolai nel parmense e il luogo del ritrovamento nel comune di Varano de’ Melegari.

Come operate per contrastare la diffusione della Psa?

“Il programma è eliminare tutta la popolazione di cinghiali. In questa fase stiamo operando prevalentemente sugli allevamenti di suini per evitare, in ogni modo, che l’infezione possa entrare. Continuiamo a ricercare le carcasse degli animali morti, fare i campionamenti e vedere in quali parti della provincia c’è la malattia, grazie al gruppo operativo territoriale, che è composto da tutte le entità che rispondono agli ambiti agricoltura e sanità.

Inoltre stiamo coinvolgendo attivamente la popolazione, organizzando gruppi di ricerca, fatti da cittadini volontari guidati da personale formato. Abbiamo diviso in quadranti tutto il territorio che controlliamo palmo a palmo. Perché, a parte abbattere i cinghiali è importantissimo individuare le aree infette da quelle libere.

La malattia rimane nell’ambiente per mesi e a trasportarla da un luogo all’altro può essere anche l’uomo, quali precauzioni bisogna avere? Per evitare di diventare diffusori del virus è sufficiente riporre in un sacchetto scarpe e vestiti sporchi utilizzati nei boschi e poi lavarli e disinfettarli.

Recentemente il Canada ha bloccato le importazioni dall’Italia, ma non è stato l’unico in questi anni.

Infatti, diversi paesi extra UE, già dal gennaio 2022 cioè dal comparire della malattia in Italia, hanno bloccato in toto le importazioni di prodotti a base di carne suina (Cina, il Giappone, Taiwan, Cuba, Messico, Thailandia, Uruguay) o in parte (Brasile, Argentina, Perù, Serbia).

Però, il Giappone dopo un lungo lavoro di Regione e Ministero e Associazioni, ha riaperto le frontiere per i prodotti cotti a tre imprese, due delle quali sono della provincia di Parma. La cottura a 70° per 30 minuti è considerato dalla sanità mondiale come trattamento che risana da molte malattie degli animali, lo stesso vale per la stagionatura superiore ai sei mesi.

Intanto Alessandro Utini, presidente del Consorzio del Prosciutto, attraverso una nota diffusa nei giorni scorsi si dice preoccupato per la situazione generale e si domanda: “Quali scenari attendano l’export del Prosciutto di Parma ora che il virus è riuscito a insinuarsi nella zona tipica -”.

Utini specifica però che: “il Prosciutto di Parma continua a circolare regolarmente verso le destinazioni d’esportazione, siano essi stati membri o paesi terzi. Le elevate garanzie sanitarie fornite dalla lunga stagionatura del nostro prodotto permettono di mantenere aperti importanti sbocchi per l’export come gli Stati Uniti e l’Australia. L’unico cambiamento di rilievo riguarderà le esportazioni in Canada, paese verso il quale le aziende produttrici situate in zone di restrizione II (ovvero quelle in cui la PSA è presente nel cinghiale) non potranno più spedire il loro prodotto”.

Chiunque veda una carcassa di cinghiale, ovunque essa si trovi, è tenuto a segnalarlo tempestivamente. A questo proposito è stato istituito un numero unico regionale 051-6092124 che inoltra la chiamata alla Azienda Usl competente per il territorio interessata dalla segnalazione.

Tatiana Cogo