Serie A, prove di riapertura

Il campionato di calcio fermo ormai da inizio marzo – era la Festa della Donna quando sono state giocate le ultime partite a porte chiuse – prova a ricominciare. Da domani alcune società riapriranno i cancelli dei centri sportivi e via via a seguire finanche le società lombarde che attendono il sì dalla regione. Stando alla regola della fase 2 del DPCM di fine aprile, i calciatori sarebbero dovuti andare ad allenarsi da soli in un parco cittadino o per le strade della città. Non il massimo per evitare assembramenti. Le società hanno chiesto, e alcune già ottenuto, il permesso di tornare agli allenamenti nei centri di proprietà seppure individuali ovvero con la distanza di sicurezza prevista per tutti i cittadini.

La strada per un ritorno alla normalità è lunga e irta di ostacoli.

Il ministro Spadafora viaggia con il freno a mano tirato. Idem il ministro della Salute Speranza. Al momento restano fermi ai box i giocatori del Piemonte, la Juve ha ancora Dybala positivo all’ennesimo test, in isolamento domiciliare e molti giocatori ancora all’estero. Dal momento del loro rientro, se fosse richiesto dalla società, partirebbero 14 giorni di quarantena e da lì allenamenti e infine ripresa delle ostilità sportive.

Lo scenario nel calcio, così come nelle attività commerciali e industriali, vira al pessimismo generalizzato. Un conto è allenarsi a distanza senza possibilità di contatti e senza l’uso degli spogliatoi e delle docce, altro allenarsi in gruppo simulando azioni da ripetere durante le partite. I contatti fisici sono l’essenza del calcio. Gli ottimisti sperano di vedere un crollo dell’epidemia in Italia specialmente nella Lombardia, nel Piemonte e nell’Emilia, sognano un clima torrido e un crollo verticale del numero degli infetti, i pessimisti (realisti?) immaginano scenari foschi. Cosa succederebbe se anche solo un giocatore dovesse risultare positivo al test?

Insieme al ministero della salute e agli organi ufficiali del mondo del pallone si stanno scrivendo protocolli sempre più stringenti ma al momento la situazione è praticamente ferma all’otto marzo. Da allora nonostante il lockdown il numero dei pazienti è sceso ma forse non come ci si aspettava.

Alcune regioni sono ancora in emergenza sanitaria e basterebbe un incremento dei contagi, temuto dopo la riapertura di molte attività di domani, per rialzare l’asticella di guardia e richiudere tutto.

Le conseguenze per il mondo del calcio sono, comunque la si pensi, se tifosi o acerrimi nemici del mondo del pallone, alla stessa stregua di quelle delle altre attività produttive con l’aggravante che il gioco non si presta a soluzioni utilizzate da altri mondi produttivi, mascherine e distanziamento sono impensabili in una partita di pallone. Le conseguenze quindi vanno non solo a incidere nelle tasche dei professionisti del calcio, e qui non si pensi solo agli stipendi dei calciatori blasonati, quanto a quelle delle categorie di professionisti con stipendi più comuni, quanto all’indotto, al numero di persone che lavorano dietro le quinte. Il calcio italiano frutta al fisco italiano ogni anno circa un miliardo e mezzo.

Non sappiamo come finirà la questione, i veti incrociati tra i vari presidenti divisi tra chi vorrebbe chiudere, chi riaprire e chi sta alla finestra, dimostra come ancora una volta sono gli interessi di bottega – non solo quelli economici – a guidarne le volontà. Il presidente della lega calcio, quello delle FIGC e i ministri competenti dovranno trovare prima o poi una strada comune, una visione condivisa sugli step. Ovvero, in base agli scenari che si verranno a configurare bisognerà prendere decisioni congrue.

Le conseguenze della cancellazione dell’annata potrà portare a vari scenari: chi scenderà in serie B? Chi andrà in Europa? Lo scudetto verrà assegnato? Cosa succede alle squadre prime in classifica della B?

Di contro, se il campionato dovesse ripartire, non sarebbe pensabile che si tratterà di un campionato ‘normale’ ovvero il dubbio, o la certezza, che si tratti di un campionato falsato è ormai ineludibile.
Intanto in Inghilterra i calciatori spingono per la riapertura e la Germania dovrebbe decidere in settimana.

Manca in tutto questo la parte europea del discorso. L’Uefa sembra intenzionata a ripartire ma anche qui in Svizzera dovranno fare i conti con i desideri delle società, le leggi nazionali delle stesse società e infine con i dati della pandemia.

Al netto della stagione 2019-2020, resterebbe un’altra questione da dirimere: se la pandemia dovesse tornare con prepotenza in autunno, cosa si potrà fare?

Il compito dei vari organi non è quello di pronosticare eventi quanto programmare ipotesi e in base a ciascuno scenario possibile coordinare le soluzioni possibili. Tra le varie ipotesi quella di tornare in campo il 24 giugno e giocare i play off.

Viaggiare a vista, oppure inseguire i desideri dei club sarebbe il peggio possibile con perdite di immagine difficilmente recuperabili. Gli italiani hanno altre priorità e il mondo del pallone dovrebbe evitare figuracce.

Alla prossima,

Gianni Bandiera

lombatti_mar24