Sì al referendum perchè “l’acqua è di tutti”!

SMA MODENA
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28/03/2011
h.20.20

La privatizzazione dei servizi pubblici è una contraddizione lessicale e sostanziale.
Un servizio è pubblico non solo quando è «utilizzato da tutti», ma anche e soprattutto quando è «un bene di tutti». Su questa distinzione ci giochiamo una grossa fetta di libertà e di democrazia. La separazione dell’utilizzo pubblico dal possesso comune, genera infatti un problema di accessibilità, in termini di costo e in termini di raggiungibilità.
Tra i tanti servizi pubblici, quelli ambientali hanno una rilevanza particolare poiché oltre ad intervenire su esigenze primarie della vita delle persone, sfruttano anche risorse universalmente riconosciute come beni comuni dell’umanità.
Se non si tiene conto di queste premesse, si rischia di considerare il servizio idrico come una semplice opzione della vita quotidiana, attivabile in base alle proprie esigenze e alle proprie tasche, come tanti altri servizi disponibili sul mercato.
In Italia c’è molta confusione tra esternalizzazione, privatizzazione e liberalizzazione. E’ chiaro che questi processi non sono la stessa cosa, anche se spesso vengono tra loro sovrapposti, mischiati o spacciati per altre cose.
L’affidamento da parte di un Comune della gestione del Servizio Idrico Integrato ad una società pubblica da esso partecipata è una esternalizzazione, che risponde al principio dell’economia di scala e dell’ottimizzazione del servizio su un territorio più ampio, ma che mantiene comunque una dimensione locale.
Se l’esternalizzazione è fatta bene, e le società pubbliche sono dirette da persone competenti e appassionate, nel medio periodo si generano economie che consentono di governare le tariffe e consentire investimenti volti al miglioramento del servizio e della sua accessibilità. Ci sono poi altri vantaggi che sarebbe lungo elencare.
La privatizzazione è invece una esternalizzazione che prevede la partecipazione a queste società di uno o più soci privati “interessati” ad investire il loro capitale per produrre profitto. I privati, per garantire il loro investimento chiedono di intervenire sulla governance delle società per massimizzare il loro profitto attraverso l’abbattimento dei servizi che non producono margine e l’aumento delle tariffe.
Sappiamo tutti poi che il concetto stesso di “profitto” è legato a quello di “consumo”; ma quando parliamo di acqua (o anche di rifiuti), appare chiaro a tutti che c’è incompatibilità tra risparmio, profitto e consumo…
La liberalizzazione si verifica invece quando un servizio non è più appannaggio esclusivo di un solo gestore, ma viene erogato in regime di concorrenza. Ma ovviamente, sul servizio idrico questa cosa non è praticabile, mentre su altri servizi la liberalizzazione funziona poco per effetto dei “cartelli” o comunque è efficace solo per i grossi consumatori (aziende medio-grandi).
Il primo quesito referendario propone l’abrogazione dell’articolo 23bis della Legge n. 133/2008, che stabilisce che la gestione del servizio idrico può avvenire in due modi:
1) attraverso una gara alla quale possono partecipare società pubbliche, miste o private;
2) attraverso l’affidamento diretto (senza gara) a società miste pubblico-privato, all’interno delle quali il privato detenga almeno il 40% delle quote e sia stato individuato attraverso un bando.
Nei territori dove l’acqua è gestita da una società interamente pubblica, occorrerà quindi decidere se mantenere la società pubblica, ma rischiando di perdere la gara (con l’abolizione delle Autorità di Ambito Territoriale Ottimale, oggi non è chiaro nemmeno chi dovrà indire le gare e con quali criteri), oppure di mantenere la “salvaguardia”, ma facendo entrare un privato almeno al 40% e con compiti di direzione operativa.
Chi ha scritto questa legge, ha motivato la scelta del privato con il fatto che il pubblico gestisce male queste società e non è capace di fare impresa. Ma allora sarebbe sufficiente smettere di assegnare le poltrone ad amici, parenti e raccomandati e selezionare gli organi direttivi delle società pubbliche sulla base delle competenze effettive.
L’altra motivazione spesso avanzata per giustificare le privatizzazioni, sta nel capitale che il privato può portare. Tuttavia oggi i privati che si affacciano a queste società immettono spesso soldi che prelevano dalle banche e sui quali pagano interessi dei quali devono poi rifarsi. Ma se occorre chiedere alle banche dei prestiti, non possono provarci direttamente le società pubbliche?
In realtà questa legge completa e rafforza un sistema normativo sui servizi pubblici scritto apposta per garantire elevati profitti ai potentati economici che investono su servizi salvaguardati e privi di concorrenza. Si tratta di ingenti guadagni che se le società di gestione fossero interamente pubbliche, potrebbero consentire anche un abbattimento delle tariffe.
La norma che si intende abrogare, inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.
Una volta quotate in borsa, queste grandi società sono oggetto di speculazione finanziarie e i soci pubblici vengono diffidati da quelli privati dal fare affermazioni o sostenere posizioni che possono essere lesive degli interessi economici. La politica si annulla e obbedisce al potere economico.
Votare SI ai referenda sull’acqua significa quindi contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese. 

                                                                                Mirko Reggiani

(Mirko Reggiani, esponente provinciale di Sinistra & Libertà di Nichi Vendola e vicesindaco di Colorno)

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