Siccità: il livello del Po ai minimi storici. INTERVISTA a Meuccio Berselli: “Si è generata una tempesta perfetta”

C’era una volta il ‘Grande Fiume’, l’enorme riserva idrica che percorre per 652 km l’Italia settentrionale dal Piemonte all’Adriatico. Un bacino da cui da sempre le popolazioni padane hanno attinto. Oggi il livello delle acque è talmente basso che anche le imbarcazioni turistiche che lo percorrono fino al delta sono ferme. Dal Po sta emergendo di tutto: dai relitti di guerra, ai resti di un villaggio medioevale, da imbarcazioni affondate, a resti di animali preistorici. A memoria d’uomo non si ricorda una siccità di queste proporzioni: il Po ha toccato i livelli più bassi degli ultimi 70 anni e si trova da mesi ampiamente al di sotto del livello idrometrico.

Abbiamo parlato della situazione con Meuccio Berselli, oggi segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, che dal 14 luglio assumerà la carica di direttore di Aipo.

Come è la situazione del bacino del Po oggi?

La situazione è drammatica, abbiamo avuto un inverno con il 70% in meno di neve e durante lo scioglimento, in tarda primavera, non c’è stata la risorsa disponibile da poter essere immagazzinata nei grandi laghi alpini o in quelli regolati come il Garda, il lago di Como, il Maggiore, il lago d’Iseo e l’Idro. Oltre a questo, non piove da 120 giorni, se escludiamo qualche temporale locale che ha fatto più danni che altro. Terzo fattore determinante, la temperatura che è più alta della media del periodo di tre-quattro gradi. Questa combinazione determina la tempesta perfetta perché, in un periodo in cui inizia l’estate e il fabbisogno per l’agricoltura è altissimo, non c’è risorsa idrica stoccata, le sorgenti sono quasi tutte senza acqua e bisogna ricorrere a strategie di cooperazione fra territori. Solo che un po’ l’egoismo, un po’ il localismo un po’ la gelosia, fa scatenare diverse difficoltà nel garantire l’acqua o mitigare i problemi, innescando conflitti tra territori di monte e di valle.

Da uomo di scienza perché secondo te è così difficile ammettere che esiste una crisi climatica?

Secondo me, non abbiamo accelerato a sufficienza sull’adattamento al cambiamento, perché è acclarato che un cambiamento ci sia. Questa è la settima crisi idrologica del fiume negli ultimi 20 anni: 2003, 2006, 2007, 2012, 2017 e in parte 2021. Quella di quest’anno è la più grande. Nel frattempo cosa abbiamo fatto? Direi quasi niente. Nonostante sono anni che diciamo che bisogna fare il bilancio idrologico del bacino e se c’è un deficit realizzare degli invasi per trattenere l’acqua. Perché ne tratteniamo solo l’11% di quella che cade in un anno e poi non piove per periodi lunghissimi. In una zona come la nostra dove facciamo circa il 40% del pil nazionale per l’agricoltura e il 55% per l’idroelettrico, senza acqua, oltre ai problemi all’ecosistema e alla biodiversità, dobbiamo considerare gli enormi danni economici. Stiamo andando in questa direzione molto velocemente. Secondo me c’è la consapevolezza di tutti, quello che manca è la velocità nel trovare soluzioni.

Cosa non è stato fatto?

Non sono stati fatti invasi per trattenere la risorsa idrica, né investimenti sui depuratori per poter riutilizzare l’acqua a fine ciclo e garantire un volume ulteriore per l’agricoltura, bisogna tener presente che nel bacino del Po ce ne sono 6700, quindi tantissimi. Non è stata fatta un’analisi delle colture meno idroesigenti. Ancora adesso stiamo irrigando il mais non per attività legate all’agricoltura, ma per fare biomassa, quindi energia. Io mi chiedo: è proprio con il mais che dobbiamo fare energia? Non c’è un altro modo? A me viene in mente la biomassa da arboricoltura con la pirolisi che non causa danni all’ambiente e anzi fa molto bene, perché è un magazzino per la CO2 e migliora la qualità dei suoli. Ultima cosa: le reti idriche perdono il 40-42% di acqua nel trasporto, mi sembra che gli investimenti sull’efficientamento delle reti siano o troppo scarsi o troppo lenti. La somma di tutti questi fattori genera un territorio in grande difficoltà.

Le soluzioni dunque sono chiare, ma i fondi per realizzare tutto questo ci sono? Si possono trovare?

I fondi sul PNRR nel settore acqua sono troppo scarsi, ne parliamo da tanti anni, abbiamo fatto delle strutture di missione all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ci sono dei tabulati sugli investimenti da fare, sulla ricerca e progetti. Però poi si va in un’altra direzione. Sul settore acqua andrebbero messi molti più fondi e poi credo che si debba migliorare l’architettura istituzionale italiana. Quando ci sediamo a parlare di questo tema, attorno al tavolo ci sono trenta enti, tra settore idropotabile, idroelettrico, settore del consorzio di bonifica e vari enti pubblici. O da subito mettiamo un commissario che prenda delle decisioni e dica quali siano le priorità altrimenti continueremo a discutere a vuoto, perché l’Italia ha una caratteristica: nessuno vuole che nel proprio cortile venga fatto niente e questo è un problema.

Come è la situazione del delta?

Sono molto preoccupato, anche per questo chiedo l’intervento di un commissario. Spiego il perché. Come Osservatorio che coordina l’Autorità di bacino abbiamo deciso di prelevare più acqua possibile dai laghi, ma di ridurre il prelievo dell’agricoltura del 20%, per permettere al delta di soffrire un po’ meno, dato che l’Adriatico è già avanzato di 31 km. L’intervento serve per sostenere la portata per 750.000 abitanti di Ferrara, Rovigo e Ravenna che dispongono dell’acqua sollevandola dal Po, portandola ai potabilizzatori e poi distribuendola nell’acquedotto. Acqua che, se la portata continua a calare, rischia di non esserci. Proviamo a immaginare cosa significherebbe rifornire i serbatoi per tutta quella popolazione. E le falde non possono essere utilizzate per l’irrigazione perché l’acqua è diventata salmastra. Quindi noi abbiamo chiesto la riduzione dei prelievi e la risposta che abbiamo avuto, numeri alla mano, è che il comparto agricolo ha aumentato i prelievi del 10%. Questa cosa non sta in piedi. Serve maggiore senso di responsabilità e sacrifici da più parti, altrimenti muore lo spirito di sussidiarietà e il principio di cooperazione tra territori.

L’aver ottenuto lo stato di emergenza non aiuta?

Potrebbe aiutare moltissimo, ma il problema vero è che un commissario non è stato nominato e quindi anche se lo stato di emergenza è stato dichiarato, ancora non sono stata prese decisioni.


Tatiana Cogo

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