
Valentina Pushich era una dottoressa ucraina, una medico rianimatore, uccisa da una granata russa mentre soccorreva dei feriti nei primi giorni di guerra. Ed è per ricordare e onorare lei che Luigi Alfieri, giornalista, già caporedattore di Gazzetta di Parma e il dentista Andrea Pelosi hanno chiamato Valentina le due spedizioni per aiutare la popolazione ucraina.
Migliaia di chilometri, poche ore di sonno, sirene di allarme non sentite perché stremati dalla stanchezza, colonne di fumo, scie di missili e pasti mancati: tutto questo per consegnare migliaia di euro di medicinali, attrezzature mediche, cibo e vestiti. Due le missioni: una tra il 18 e il 21 marzo alla frontiera polacco-ucraina di Przejscie graniczne Kroscienko e una seconda tra il 31 marzo e il 2 aprile direttamente in Ucraina, a Leopoli.
“Gli ucraini quando ci hanno visto arrivare ci hanno chiesto chi ce l’ha fatto fare – spiega Alfieri. La mia risposta è: la democrazia e la libertà, perché questa è una guerra tra due mondi: tra persone democratiche che vogliono essere libere e un autocrate. Churchill diceva: la democrazia è pessima, ma non conosco niente di meglio e io sono disposto a tutto per difenderla, così come le altre cinque persone che hanno affrontato questo viaggio”.
Che cosa avete visto, cosa ti ha più colpito?
Ho visto le cose che non avrei voluto mai vedere. Qui noi non abbiamo la più pallida idea di quanti morti ha già fatto questa guerra, migliaia. Ho approfittato del poco tempo libero per fare il giornalista. Siamo stati nei cimiteri e i numeri che danno non sono reali. Ma ciò che più mi ha scioccato è accaduto alla frontiera. Sono arrivati due autobus, perché non erano nemmeno pullman, con i profughi provenienti da Mariupol. Se vedi gli occhi di quella gente capisci cosa è la guerra. Non avevano più uno sguardo, non avevano più niente solo borse piene di stracci. Alcuni non avevano più le gambe. C’erano dei bambini completamente assenti che giravano le teste intorno, senza vedere. Siamo stati tutti male. È stata la cosa più terribile cui ho assistito in vita mia e che spero di non rivedere mai. Però poi te le sogni di notte queste scene strazianti. Gli 80-90 che sono scesi da quei bus gialli hanno già visto l’inferno prima di morire, vivranno, ma non hanno un futuro.
Come hanno avuto inizio le missioni Valentina I e II?
Era da qualche giorno che mi dicevo che dovevo fare qualcosa per queste persone. Guardando la tv ciò che più m’impressionava erano le facce dei bambini, con questi sguardi assenti di chi non capisce cosa sta succedendo, perché non può più giocare, andare a scuola. Non trovavo qualcosa di realizzabile nell’immediato. Quando mi ha chiamato mio cugino Andrea Pelosi che è dentista per chiedermi una mano, dato che era stato contattato a sua volta per una spedizione di aiuti. La missione era organizzata dalla associazione di proprietari di Tesla “Tesla Owners”. Come prima cosa abbiamo cercato e trovato un mezzo abbastanza capiente. Non abbiamo raccolto soldi, mandavamo le persone alla Farmacia Costa per acquistare medicine e materiale medico oppure chiedevamo di darci cose utili.
Ho fatto un post sui social la sera per annunciare la cosa e già il mattino dopo c’erano bonifici sul conto aperto per l’acquisto delle medicine. È incredibile quanta gente e quanti amici hanno donato, secondo le disponibilità. In 48 ore abbiamo raccolto 20-30 mila euro di farmaci.
Innumerevoli le persone che mi hanno chiamato o suonato al campanello di casa. Addirittura ci hanno dato una forma di Parmigiano divisa in punte sottovuoto. Utilissima per padre Igor che doveva sfamare da 50 a 150 profughi al giorno.

E come avete individuato la persona a cui consegnare il materiale?
È stata individuata dall’associazione Tesla Owners. Ma siccome io sono assolutamente diffidente ho fatto diversi controlli prima di portare a padre Igor Boyko gli aiuti dei parmigiani. Padre Igor è rettore del Seminario greco cattolico di Leopoli. In Ucraina è un’autorità assoluta in campo etico e morale e sta facendo cose incredibili per il suo paese. È una persona estremamente efficiente e organizzata. In poche ore abbiamo stabilito un rapporto privilegiato; mio cugino ha creato un contatto con i dentisti ucraini e ciò è stato molto utile per la seconda missione.
È stato complicato raggiungere il confine ucraino e consegnare i materiali?
La prima missione è stata molto difficile e piena d’incognite. Anche reperire i furgoni per arrivare a destinazione non è stato facile. Per fortuna grazie a Tesla abbiamo ottenuto dalla Farnesina una sorta di passaporto che viene rilasciato alle organizzazioni umanitarie e che permette di attraversare tutti i paesi senza pagare i pedaggi autostradali. La prima missione ci ha portato al confine tra Polonia e Ucraina, in 19 ore siamo arrivati a Cracovia e in altre 3 abbiamo raggiunto il confine dove però abbiamo fatto 5 ore di fila, prima di poter consegnare tutto a padre Igor che ci aspettava alla frontiera. Durante il primo viaggio abbiamo capito che polacchi e ucraini sono molto più che fratelli, la Polonia era tutta gialla e blu, ma c’è troppa burocrazia, sia da una parte che dall’altra, retaggio ex sovietico. Per far passare le medicine dovrebbero bastare cinque minuti, non cinque ore.
Poi c’è stata una seconda missione a Leopoli, come è andata e ce ne sarà una terza?
Ciò che siamo riusciti a portare in Ucraina è vitale per la popolazione. La gente ha continuato a donare, avevamo ancora molta disponibilità di fondi per l’acquisto di materiale e farmaci. Ci hanno portato attrezzature mediche preziosissime, anche perché tutti i dentisti italiani erano mobilitati. e La dottoressa ucraina Adriana Barylyak, dalla Polonia ha coordinato la distribuzione dei presidi negli ospedali ucraini. Con la spedizione Valentina 2 abbiamo consegnato 40 quintali tra farmaci, attrezzature mediche, cibo, vestiti invernali, dopo un viaggio infernale in mezzo a tempeste di neve da Tarvisio fino al confine polacco. Siamo arrivati in 24 ore, abbiamo pernottato al confine per poi raggiungere Leopoli il giorno dopo. Una terza missione? Può essere…
Che idea ti sei fatto della situazione?
Quella di Leopoli, città dal centro bellissimo, protetta dall’Unesco, è una situazione metafisica da quadro di De Chirico c’è una sola città che ne contiene due: una che funziona normalmente dove i negozi, i bar e le pasticcerie sono aperte e una seconda, la stessa, che funziona come in guerra e dove ti capita di vedere il funerale di un soldato morto a Kiev. Tutto ciò che è prezioso, i quadri, le statue sono impacchettati e questo fa impressione. È un po’ come è stato per noi nel primo lockdown c’è un nemico invisibile da combattere, sai che c’è e che è reale, ma non lo vedi. E questo è una fonte di angoscia incredibile.
E del popolo ucraino?
È stato interessante entrare nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo dove abbiamo capito che l’Ucraina non perderà mai questa guerra. Hanno un’arma impressionante che è la preghiera, pregano con un’intensità notevole e chi è capace di pregare è in grado di applicarsi allo stesso modo anche in altre cose. Ci sono le fotografie di tutti i caduti di Leopoli, che sono tantissimi. Migliaia di preghiere al giorno. Infine c’è una cappella costruita appositamente per ricordare la città di Vitoria, che è stata più che rasa al suolo dai russi, direi polverizzata. Hanno raccolto tutte le schegge delle granate, delle bombe, tutto ciò che è stato utilizzato compreso la coda di un missile sulla quale hanno posizionato un rosario bianco. Quella è la linea da cui i russi non passeranno mai Questo ti dà l’idea di che tipo di popolazione è quella Ucraina, dura da piegare. E gli armamenti che hanno gli ucraini sono insospettabilmente moderni e di grande tecnologia. Li abbiamo visti.
Se dovessi dare un consiglio a qualcuno che volesse pianificare una missione analoga alla vostra?
Non fidatevi di nessuno, stabilite i contatti prima, pianificate bene con anticipo, perché trovare i mezzi per andare anche solo in Polonia non è facile, a Parma solo uno li noleggia. Comunque mandare dei soldi è inutile, non c’è più niente da comprare, bisogna portare le cose là a chi si sa che le utilizzerà.
Alla fine della seconda missione siete riusciti a portare in Italia, a Parma due profughi?
Sì, ci siamo accordati con padre Igor, abbiamo portato una mamma con il figlio che avevano parenti in città. Il momento del ricongiungimento è stato molto toccante, di un certo impatto emotivo, anche se gli ucraini sono persone che non piangono facilmente. E poi abbiamo aiutato il rientro in Italia di un clown che lavora anche all’ospedale dei bambini di Parma. Che era partito senza fondi per riuscire a far sorridere i bambini ucraini. Ci sono delle persone davvero straordinarie.

Hai avuto paura?
No, non ho avuto paura. Non avrei paura se mi dicessero di andare a Mariupol. Ho paura per gli altri, ma non per me. La paura è un meccanismo utilissimo che ti impedisce di commettere errori, infatti io ne ho fatti molti.
Tatiana Cogo