
Nella notte tra il 9 ed il 10 Ottobre 1963 duecentosessanta milioni di metri cubi di montagna precipitarono alla velocità di 100 km orari nel lago di Vajont, un bacino artificiale sull’omonimo torrente in provincia di Belluno. La frana provocò un’enorme ondata che superò le mura di contenimento della diga, la più grande al mondo fra quelle a doppio arco e costruita pochi anni prima, strappando letteralmente via la strada sommitale spessa 3 metri e mezzo ed il centro di controllo, dove si trovavano il geometra Rittmeyer e i suoi operai. Si creò un’onda che nel punto più alto misurava 250 metri ed in quello più basso 150. Complessivamente 50 milioni di metri cubi d’acqua saltarono oltre la diga formando un “lago volante” spesso 70 metri che piombò sul sottostante abitato di Longarone.
A Longarone molta gente era nei bar per vedere la finale di Coppa dei Campioni disputata tra Real Madrid e Glasgow Rangers. La luce venne improvvisamente meno ed in molti che uscirono per accendersi una sigaretta ebbero il tempo di guardare in alto verso la diga, oltre la quale riuscirono a scorgere alcuni lampi, causati dai cavi della corrente strappati dalla forza dell’acqua. Contemporaneamente si alzò un vento umido che aumentava in intensità e rumore, che fu ricordato dai sopravvissuti come quello di un treno lanciato in corsa. Era dovuto all’aria compressa e spinta dall’acqua, ed acquistò una potenza inimmaginabile: il doppio dell’esplosione della bomba atomica di Hiroshima. La metà delle vittime fu polverizzata e di loro non si troverà più nulla.
Dopo l’aria ed un volo di circa 4 minuti verso il basso, l’enorme massa d’acqua colpì il letto del Piave, dove raccolse pietre e detriti e piombò su Longarone, cancellandolo. L’acqua si allargò poi sul greto del fiume, scendendo e risalendo la valle per circa 2 chilometri. In pochi attimi il livello del fiume si alzò di 12 metri e dopo 15 minuti l’onda di riflusso tornò giù e lisciò ogni cosa trasformando la valle in una spianata di fango. L’acqua colpì e travolse anche alcune frazioni, come Pirago, dov’è rimarrà in piedi solo il campanile della chiesa.
Delle 1.917 vittime causate dall’inondazione ne vennero ritrovate circa 1.500, la metà delle quali risultarono irriconoscibili. Fu aperta un’inchiesta giudiziaria ed un processo tenutosi tra il 1968 e il Marzo 1971, che si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale dovuta alla prevedibilità di inondazione e di frana e per omicidi colposi plurimi.
L’allora presidente del Consiglio e futuro presidente della Repubblica, Giovanni Leone, arrivò sul luogo della tragedia pochi giorni dopo e promise giustizia. Lo stesso Leone, terminato l’incarico governativo, sarà il capo degli avvocati Enel-Sade – la Società Adriatica di Elettricità che aveva voluto la diga – al processo, nel quale sostenne l’imprevedibilità del disastro. Nel libro di Lucia Vastano, Vajont, l’onda lunga, si legge che “Fu proprio l’avvocato dell’Enel Giovanni Leone, che nella precedente veste di Presidente del Consiglio aveva promesso “giustizia”, a scovare nel codice civile quell’articolo che fece risparmiare l’azienda in base all’articolo n.4 del codice civile sulla commorienza (quando di due persone sia impossibile dedurre quale sia deceduta per prima, al fine giuridico si considerano morte nello stesso istante)” e farà si che “i nipoti non vennero mai risarciti per i nonni, morti assieme ai loro genitori. Fu il tribunale di Belluno a utilizzare per primo, per le vittime del Vajont, l’articolo 4”.
Nel 1966 viene costituito un nuovo comune, chiamato Vajont, a 40 chilometri di distanza, vicino a Maniago. Negli anni successivi Longarone ed gli altri centri colpiti dall’inondazione, vennero in gran parte ricostruiti.
Alessandro Guardamagna