
ACCADDE OGGI: All’inizio della Guerra dei Sette Anni un esercito Anglo-coloniale di 2.400 uomini fu inviato a prendere possesso di Fort Duquesne, un avamposto che i Francesi avevano costruito alla confluenza fra i fiumi Monongahela ed Ohio, sul sito dell’attuale Pittsburgh in Pennsylvania, e da cui controllavano l’intera regione.
Tra coloro che accompagnavano le truppe vi era un giovane George Washington che era stato nominato aiutante di campo del comandante Inglese, generale Edward Braddock. Seguendo un sentiero tracciato da Washington l’anno prima, l’esercito si mosse da Fort Cumberland il 29 Maggio molto lentamente, in quanto era necessario costruire una strada per allargare la via e permettere di far passare i carri e l’artiglieria.
Sarà proprio su consiglio di Washington che Braddock, avvicinatosi all’obiettivo, divise l’esercito in due. Al comando del colonnello Thomas Dunbar vennero lasciati il grosso dei rifornimenti ed un migliaio di uomini, mentre Braddock si spinse avanti con i restanti 1.300.
Avvicinandosi a Fort Duquesne, le truppe britanniche attraversarono il Monongahela due volte. Gli Inglesi prevedevano che al guado avrebbero incontrato resistenza e si sorpresero di non trovarvi truppe nemiche.
Superato il fiume nel caldo del primo pomeriggio del 9 Luglio, Braddock riformò l’esercito per la marcia finale di 11 chilometri che avrebbe portato le sue truppe sotto i bastioni del forte, non immaginando che, dai boschi circostanti, indiani alleati dei Francesi avevano seguito i movimenti delle sue truppe ed avvisato Contrecoeur, il comandante di Fort Duquesne.
Costui disponeva principalmente di contingenti indiani formati da Ottawas, Mississaugas, Wyandots e Potawatomis, di alcune compagnie di fanti di marina, e di truppe della milizia canadese, inferiori di numero agli Inglesi. Consapevole che il forte non avrebbe potuto reggere ad un assedio, e che gli Indiani sarebbero rimasti fintanto che esisteva per loro la prospettiva di prendere prigionieri – che poi rivendevano o integravano nelle proprie tribù – oppure di fare bottino, Contracoeur giocò l’unica carta che aveva per respingere il nemico ed autorizzò il capitano Daniel Liénard de Beaujeu a prendere metà degli uomini presenti, compresi 637 indiani, e a tendere un agguato agli Inglesi. Con questa forza Beaujeu si mise in marcia e verso l’una incappò nell’avanguardia di Braddock.
Mentre i Francesi si fermarono per organizzarsi, i regolari Inglesi si spinsero avanti e spararono 3 scariche di fucileria, una delle quali uccise Beaujeu, che sventolava il cappello per indirizzare i suoi uomini a prender posizione. La perdita improvvisa del proprio comandante gettò in confusione i fanti di marina e i canadesi, ma non gli indiani che iniziarono ad avanzare in ordine sparso lungo entrambi i fianchi degli Inglesi, sfruttando alberi e terreno come difese naturali, da dove stando al riparo potevano bersagliare le giubbe rosse che avanzavano in file serrate, come fossero ad una parata.
Non ci volle molto perché gli uomini iniziassero a cadere colpiti da un nemico non visto, e la pressione, lo stress e la minaccia che incombeva su di loro da tre lati ebbero la meglio, spingendo quel che restava dell’avanguardia a ripiegare sulla colonna di Braddock. Ritirandosi lungo il sentiero, si scontrarono con le truppe che stavano avanzando e della confusione approfittarono nuovamente gli Indiani ed i franco-canadesi che, ora guidati dal capitano Jean-Daniel Dumas, si fecero avanti sempre al riparo degli alberi.
Ubbidienti ad una ferrea disciplina e capaci di tenere la posizione a fronte di perdite ingenti, i fanti britannici non erano però abituati a combattere nella foresta, dove tentarono di comporre le linee con l’unico risultato di offrire il rosso delle proprie divise come un bersaglio ben visibile.
I boschi si riempirono presto delle grida incessanti degli indiani e di fumo, e nel chaos i soldati di sua maestà finirono anche per sparare accidentalmente sui miliziani della Virginia scambiandoli per il nemico.
Confidando che la disciplina superiore dei suoi uomini avrebbe permesso di aver ragione dell’avversario, Braddock continuò la lotta ad oltranza, ma dopo circa tre ore, quando lui stesso fu colpito al petto da una pallottola e trasportato via, quel che rimaneva della coesione e della capacità di resistenza dei fanti Inglesi svanì come di colpo. Senza più ufficiali a guidarli, gli Inglesi, sbandati, iniziarono ad indietreggiare in massa verso il fiume.
Mentre si ritiravano in disordine, gli indiani, intuendo che il nemico aveva ceduto, lasciarono i fucili e brandendo tomahawk e coltelli si lanciarono tra i fuggitivi per prendere scalpi e prigionieri. Fu allora che le loro urla, che riecheggiavano ovunque e si facevano sempre più vicine, causarono il panico tra le file inglesi e la ritirata si trasformò in una rotta totale. Settimane dopo, uno dei sopravvissuti ricorderà ancora come “le urla degli Indiani sono ancora vive nelle mie orecchie e quel suono terrificante mi tormenterà fino al momento della mia morte”.
Quello che accadde dopo fu uno sfacelo a cui nessuno era preparato. La retroguardia fu abbandonata a difendere i cannoni che erano stati trasportati faticosamente fino a quel punto e non erano neppure stati impiegati, mentre i civili che accompagnavano i carri, sciolti i cavalli, fuggirono a rotta di collo, imitati dai soldati britannici che, gettati i moschetti, gli zaini e qualsiasi cosa impedisse la fuga, se la diedero a gambe piantando in asso i feriti e anche le donne che avevano accompagnato i carri – delle 50 che si trovavano nella colonna di Braddock meno della metà venne presa prigioniera.
Raccolti attorno a sé gli uomini che poteva, Washington formò una retroguardia che permise a molti di salvarsi. Alcuni corsero terrorizzati per miglia prima di cadere esausti, ma dopo aver riattraversato il fiume gli Inglesi battuti non furono più inseguiti dagli Indiani, interessati al bottino e alle scorte di 200 galloni di rum trovate fra i carriaggi dei rifornimenti.
La battaglia del Monongahela costò agli Inglesi 456 morti e 422 feriti e fu la peggior sconfitta subita da un esercito britannico nelle americhe. Di molti catturati dagli Indiani non si seppe più nulla. Quella notte, dopo che i guerrieri riportarono il bottino e molti prigionieri a Fort Duquesne, il giovane James Smith, preso prigioniero nelle settimane precedenti lo scontro, vide dai bastioni del forte che 11 soldati Inglesi venivano condotti dagli indiani su un’isola lungo il corso dell’Ohio, e qui, spogliati, furono torturati ed infine bruciati vivi.
Il 13 Luglio Braddock morì e le truppe in ritirata lo seppellirono in mezzo alla strada. L’esercito poi passò sul luogo della sepoltura per eliminare ogni traccia ed impedire così che il corpo del generale venisse recuperato dal nemico. Non credendo di poter continuare la spedizione, Dunbar decise di ritirarsi verso Filadelfia. Fort Duquesne sarebbe stato preso dagli Inglesi solo nel 1758, quando una spedizione guidata dal generale John Forbes raggiunse l’area, abbandonata in precedenza di Francesi, e che rinominò Forte Pitt.
Alessandro Guardamagna