
Il 9 dicembre del 1960 si apriva a Gerusalemme il processo ad Eichmann, il primo tenutosi in Israele contro un criminale di guerra.
L’imputato, l’ex Obersturmbannführer delle SS Adolf Eichmann, era stato uno tra i principali artefici della “soluzione finale” che aveva comportato lo sterminio di 6 milioni di ebrei, un milione dei quali bambini.
Considerato un esperto di questioni ebraiche e a capo di una sezione dello RSHA – Reichssicherheitshauptamt, l’ufficio centrale per la sicurezza del Reich – ad Eichmann era stato affidato il compito di organizzare il traffico ferroviario che trasportava i deportati verso i campi di concentramento in tutta Europa, così che fosse garantito un costante flusso di prigionieri destinati alle camere a gas e ai molteplici compiti scelti dalle autorità naziste e dettati dalle necessità belliche.
Le responsabilità di Eichmann emersero nel 1946 durante il processo contro gli ex-gerarchi nazisti tenutosi a Norimberga. Eichmann, come altri nazisti, era riuscito a far perdere le sue tracce dopo la fine del conflitto e a rifugiarsi in Argentina nel 1948 grazie all’aiuto delle autorità ecclesiastiche. Fu infatti Alois Pompanin, vicario di Bressanone, a fargli avere un falso passaporto – secondo il quale Eichmann risultava chiamarsi Riccardo Klement – rilasciato dal comune altoatesino di Termeno con cui l’ex-ufficiale delle SS espatriò di lì a poco in Sudamerica.
Catturato nel Maggio 1960 a San Fernardo poco a nord di Buenos Aires da agenti del Mossad, fu trasportato in segreto Israele dove venne sottoposto a giudizio. Nonostante fu spesso dipinto come un impotente burocrate esecutore di ordini provenienti dall’alto, le sue responsabilità e colpevolezza furono accertate grazie alle testimonianze di numerosi sopravissuti.
Fu condannato a morte per impiccagione e la sentenza eseguita il 1 Giugno 1962 dopo che furono respinte le istanze di grazia presentate dalla moglie, da alcuni parenti e da Eichmann stesso.
Durante il processo il cinquantaquattrenne Eichmann più volte ribadì la propria non colpevolezza sostenendo di essersi limitato ad eseguire direttive dei suo superiori. Contemporaneamente colpiscono le parole di un uomo che affermò che al momento della morte sarebbe stato pronto a “saltare nella fossa ridendo perché la consapevolezza di avere cinque milioni di ebrei sulla coscienza mi dà un senso di grande soddisfazione”.
Secondo il verdetto il cadavere di Eichmann fu cremato e le ceneri disperse nel Mediterraneo fuorì dalle acque territoriali di Israele.
Alessandro Guardamagna