Bacino del Po: cambiamenti climatici e le ripercussioni sulla Food Valley. INTERVISTA a Meuccio Berselli, direttore di Aipo

Dopo un’estate di agonia, non migliorano quanto sperato le condizioni del Grande Fiume, confermando una tendenza alla siccità sempre più frequente negli ultimi due decenni. Abbiamo fatto il punto con Meuccio Berselli, direttore di Aipo.

Quale è la situazione?

Il Po adesso ha circa il 40% in meno di acqua della media del periodo, perché i 141 affluenti trasportano meno acqua al fiume; i torrenti e fiumi appenninici sono sempre più in magra. Ciò significa che le falde stanno facendo fatica a ricaricarsi. Nel 2022 abbiamo vissuto la peggiore crisi idrologica nel bacino del Po, dopo quelle del 2003, 2006, 2007, 2012 e 2017. Peggiore per tre motivi: nell’inverno precedente non ha nevicato (-70%); per oltre 120 giorni non ha piovuto nel territorio padano e, infine la temperatura è stata più alta di 3-4 gradi rispetto agli anni precedenti, favorendo l’evaporazione e aumentando addirittura il fabbisogno di acqua. In base ai modelli che abbiamo, i climatologi ci dicono che il 2022 probabilmente sarà ricordato come anno “fresco”.
Questa “tempesta perfetta”, come l’ho definita più volte, ha dimostrato che non si può più aspettare, bisogna mettere subito in campo azioni concrete.

Quali sono?

Dobbiamo trattenere più acqua piovana, perché oggi siamo solo all’11%, il resto va a mare. E spesso piove in un tempo brevissimo e in modo calamitoso mettendo in difficoltà le nostre difese, abbiamo visto più episodi anche recentissimamente come nelle Marche, per esempio.

Se continuiamo così, qualche territorio potrebbe rimanere senza acqua oppure, come è capitato questa estate, la parte finale del delta soffrirà dell’ingresso del sale dell’Adriatico per il duplice effetto di maree e portata del fiume molto bassa. Ciò innescherà il problema delle falde acquifere che da dolci diventeranno salmastre e le acque non potranno essere usate per l’irrigazione, perché brucerebbero i raccolti. Un habitat e un ambiente particolarmente fertile andrà in difficoltà. E succederà anche alla parte emiliana.

Perché?

Dall’Appennino al Po non abbiamo molte dighe che trattengono le acque e le rilasciano nel periodo estivo. Non è che gli invasi risolvano tutto il problema, però bisogna iniziare a farli. E dal Vajont che non se ne costruisce uno, cioè dal 1963. Inoltre dobbiamo iniziare a fare strategia di area vasta, utilizzando i grandi invasi che abbiamo cioè i laghi, in particolare Garda e Maggiore e come serbatoi. Ma negli ultimi anni anche i laghi hanno sofferto anche per la scarsità di acqua.

A proposito di dighe, riusciremo a vedere realizzata quella di Vetto?

La diga di Vetto rientra nelle strategie di adattamento al cambiamento climatico della Regione Emilia-Romagna ed è al primo posto. Oggi siamo nella fase “studio di fattibilità”, ci vorrà quindi molto tempo. L’iter è lungo: una volta che i consorzi di bonifica di Parma e Reggio realizzeranno lo studio preliminare, che costerà circa 3,5 milioni di euro, dovranno fare i progetti definitivo ed esecutivo e cercare i finanziamenti. Un progetto per una diga da 30 mln di metri cubi, come probabilmente sarà quella di Vetto, costa circa 20 mln di euro. Poi dovranno essere trovati i 250-300 mln di euro per realizzare l’opera. Un invaso che, personalmente, continuo a ritenere fondamentale.

Quali altri invasi si potrebbero realizzare nel parmense?

Stanno procedendo i lavori per la realizzazione della cassa di espansione del Baganza che è nata solo per la laminazione delle piene. Io continuo a insistere che il dipartimento ufficio dighe del ministero delle Infrastrutture debba aiutarci a farla diventare come quella del Secchia una diga ad uso plurimo. Servono paratoie adatte a trattenere e rilasciare le acque nel periodo estivo. Certamente non risolverà tutto il problema di siccità, ma l’investimento potrà essere sfruttato anche per questo, in una logica di non spreco.



Quali altre strategie mettere in campo allora?

Dobbiamo valutare anche le colture. Possiamo continuare a coltivare mais nelle quantità attuali, non per fare cibo, ma energia? A mio parere l’energia si deve produrre in altro modo, non facendo biomassa. Il mais è molto idro-esigente e ha anche bisogno di chimica per crescere e questo, dal punto di vista ambientale, non va bene.

Altra azione utile sarebbe quella del riutilizzo dell’acqua dei depuratori per scopi irrigui. Quindi i depuratori devono essere più performanti. E infine le reti. Noi perdiamo in Italia il 43% di acqua nel trasporto è un dato è troppo alto, la media europea è al 20. Multiutility e consorzi di bonifica devono iniziare a investire in questo ambito. In Italia dobbiamo investire di più in educazione ambientale.

Cioè?

Siamo abituati che apriamo il rubinetto e scende l’acqua, pensando che sia infinita. Non ci spiegano l’importanza di questa risorsa e la sua tutela. Durante l’estate laviamo le macchine, riempiamo le piscine, innaffiamo gli orti. Abbiamo favorito il risparmio energetico grazie al cappotto nelle abitazioni ma non c’è una norma che preveda il risparmio d’acqua. Faccio un esempio concreto. Pensiamo allo sciacquone del bagno, ogni volta che schiacciamo il pulsante scendono in media 12 litri d’acqua potabile che potrebbe essere usata per altri scopi. Non c’è nessuna casa oggi che abbia due tipi di acqua: una per bere, lavarsi e cucinare e una per lo sciacquone. In un minuto quanta acqua sprechiamo in Italia?

Sei direttore di Aipo da quasi sei mesi quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Abbiamo alcuni obiettivi molto ambiziosi. Siamo soggetto attuatori del progetto di decarbonizzazione forse più importante d’Italia. Lo facciamo grazie a fondi del pnrr, 357 mln di euro, destinati alla rinaturazione del fiume Po. Investiamo in 56 aree del bacino, tra Piemonte e Veneto, mettendo a dimora arbusti autoctoni creando così riforestazione, sono più di mille ettari di bosco. Inoltre siamo attuatori della realizzazione ciclo-via “Vento” (Venezia Torino) che si sviluppa per 700 km sugli argini maestri.
E infine, ma non ultimo, svilupperemo la navigazione commerciale. Dovremo garantire una batimetria di due metri per dieci mesi l’anno, per poter navigare dal delta almeno fino a Cremona, Piacenza e Mantova con navi di V classe cioè lunghe 115 metri che possano trasportare 80 container. Ciò significa togliere dalla strada 80 camion per ogni barca ovvero meno CO2. È molto difficile e ambizioso, ma i player ci sono già stiamo ragionando con i porti più vicini per la logistica.

Complessivamente sono opere per un miliardo di euro, cifra enorme, che consentirà di invertire la tendenza e sviluppare un territorio attualmente marginale, perché fino ad oggi nessuno ci ha mai investito veramente.

Tatiana Cogo

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