
30/08/2013
Intervista a Daniela Casprini, referente dell’Associazione vittime delle caccia.
Nei giorni scorsi avete lanciato il grido di allarme di svendita di animali selvatici in Provincia di Reggio Emilia. Uccidi 3 volpi, 1 capriolo in premio… cosa è successo?
La Provincia di Reggio Emilia purtroppo è generosa in delibere ammazzatutto, talvolta senza i necessari supporti scientifici che le giustifichino, ma soprattutto senza aver attuato in via prioritaria metodi incruenti come invece prevede la normativa vigente (art.19 l. 157/1992).
Nonostante il Tar nel 2012 abbia accolto la richiesta di sospensiva della delibera annuale in attuazione del Piano di contenimento volpi pluriennale e prossima è la discussione del merito, l’ATC RE3 (ambito territoriale di caccia), distribuiva un volantino ai soci cacciatori in cui si esortava a sparare alle volpi senza, però, far riferimento chiaro ai sensi di quale norma specifica fosse lecito. Il tutto in pieno stile luna park,, 3 volpi, 1 capriolo in premio! Non risulta, infatti, essere stata predisposta nessuna nuova delibera annuale, anche ovviamente in attesa dell’esito della discussione di merito del suddetto Tar.
Al di là dell’aspetto legalità o meno, questo ostentato disprezzo per la vita oramai disgusta la gente, che sempre meno tollera gesti tanto arroganti contro la fauna selvatica, ma anche contro la diffusa sensibilità delle persone, sia che siano azioni autorizzate, sia forzature di furbetti in mimetica.
“La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato”, questo è un pilastro della legge 157/92. Il prelievo venatorio è inquadrato come una concessione, non un diritto assoluto.
Un grave vuoto normativo rimane comunque e sarebbe auspicabile un’urgente e più attenta regolamentazione dell’attività venatoria, non più solo finalizzata alla gestione della fauna e al suo prelievo, ma rispetto alla sicurezza pubblica. Aspetto questo ovviamente preminente – e drammaticamente attuale – rispetto all’interesse di una minoranza oggettivamente pericolosa visto che fa uso di armi da fuoco nelle aree abitate.
Qual è il fine della vostra associazione? Scrivete che non volete gente armata intorno, dei prepotenti che che si sentono Rambo..
Una buona casistica dimostra che non sono pochi i casi di fatti delittuosi sia involontari (incidenti) che dettati da età avanzata o un carattere troppo irascibile di chi detiene il porto d’armi ad uso caccia. Il nostro fine intermedio è quello di difenderci e difendere i propri cari, la propria casa o attività da questi personaggi, perchè solo chi vive in campagna sa cosa significa vivere assediati fin dall’alba, o sotto il tiro delle carabine da cinghiali, minacciati e a volte pestati.
Il fine ultimo è l’abolizione della caccia. Perchè l’attività venatoria non dà nessuna risposta alle problematiche del territorio, ma è l’origine dei problemi per i quali beffardamente è chiamata a risolvere. Vedasi i cosiddetti animali in esubero, cinghiali, cervi ecc. Se vietassero drasticamente di allevarli avrebbero già iniziato a risolvere il problema creato dai cacciatori da ben 60 anni di immissioni ed ibridazioni con specie più prolifiche e grandi di quelle autoctone (prima circoscritte solo in Toscana e alta Liguria).
La caccia non consiste solo nel fare le battute di caccia ma è la pianificazione e la gestione del territorio italiano, fondi privati compresi, gestiti/sottratti al solo scopo venatorio, che sia area di caccia con sparo, che di allenamento cani, che ripopolamento e cattura o altri enti previsti dai Piani faunistico venatorio quinquennali.
Un altro obiettivo che l’Associazione punta ad ottenere è l’abolizione dell’art.842 del c.c. Norma che nel nostro Paese permette a gente armata di entrare nei terreni privati senza il consenso del proprietario ma, e lo sanno in pochi purtroppo, a domanda il cacciatore è tenuto a mostrare la licenza al proprietario stesso. Purtroppo una distorta interpretazione di questa norma di mussoliniana memoria in decenni ha erroneamente inculcato la convinzione che davvero i cacciatori possono aggirarsi ovunque. Essa non è proprio vera in quanto è applicabile solo ai grandi fondi agricoli ma intorno alle abitazioni e alle pertinenze annesse il cacciatore deve attenersi alle distanze di sicurezza, basate genericamente sulle gittate dei fucili in uso.
Il tema della sicurezza è in questi anni, proprio grazie alla nostra Associazione, diventato centrale nel contesto dell’attività venatoria, proprio perchè le campagne si sono sempre più antropizzate. A questo occorre aggiungere il disturbo alla quiete pubblica e il danno prodotto ad attività quali turismo, attività agricole, agrituristiche, ricreative e sportive. A questo aggiungiamo anche che la caccia inibisce la fruibilità in piena sicurezza del territorio comune. Esempio lampante della pericolosità della caccia sono i tanti raccoglitori di funghi, ciclisti o escursionisti che ad ogni stagione vanno ad aggiungersi alla lista delle vittime sparate.
Operativamente in cosa consiste la vostra attività?
Sul piano operativo l’Associazione Vittime della Caccia in primo luogo si muove a sostegno delle istanze dei cittadini che denunciano il problema caccia in termini di sicurezza e disturbo della quiete pubblica. Una volta accertato il merito dei problemi si punta alla richiesta di provvedimenti da parte del Sindaco. Abbiamo già ottenuto decine di ordinanze recanti il divieto di caccia per tutelare la sicurezza delle persone.
Ci muoviamo, inoltre, sul piano amministrativo per impugnare delibere sindacali, provinciali e i piani venatori regionali che puntano a ottenere una caccia sempre più permissiva e devastante per gli equilibri di ambiente e di specie.
Siamo l’unica realtà che annualmente diffonde i dati su morti e feriti per armi da caccia, in ambito venatorio e no. Dati che portiamo all’attenzione dei media e delle istituzioni. Sul piano normativo e legislativo facciamo parte dei più importanti tavoli di concertazione per promuovere sempre più limitazioni alla caccia, fino alla sua completa abolizione.
Quante vittime (morti e feriti) umane della caccia ci sono, mediamente, ogni anno in Italia? Quante e di quale gravità i danni agli animali?
Solo durante la stagione venatoria che sono 4-5 mesi all’anno siamo mediamente intorno a cento persone impallinate (circa 25% i morti), bambini compresi. Questo dato è relativo solo all’ambito strettamente venatorio, ma anche al di fuori delle battute (ambito extravenatorio) i fucili dei cacciatori continuano a mietere vittime, soprattutto tra la gente comune e disarmata, aggiungendo altre decine di vittime.
Se consideriamo tutto l’arco dell’anno, anche al di fuori della stagione venatoria, il numero delle vittime per armi da caccia o per mano di cacciatori aumenta in media del 70%.
Danni agli animali: abbiamo provato a raccogliere i dati, per esempio degli animali domestici vittime delle doppiette, ma le notizie sono così tante e talmente parziali da vanificare ogni sforzo.
Tra gli obiettivi della vostra associazione c’è anche l’abolizione della caccia. Perchè, nonostante su questa misura ci sia un consenso diffusa tra i cittadini, non si riesce ad abolire la caccia?
La caccia muove interessi economici e di controllo del territorio enormi. Seppur minoranza, il mondo venatorio contratta, soprattutto localmente, il suo peso elettorale e lobbistico trovando sempre politici e amministratori ben disposti ad accogliere le loro pretese.
Il politico di turno sarà sempre oggetto di ricatto e di richieste sempre più esose da parte dei cacciatori, ovviamente in contrasto con le direttive dell’Unione Europa che continuerà a mettere sotto processo l’Italia, rea di un prelievo venatorio e di deroghe selvagge da parte di regioni in mano ai cacciatori.
Quali sono i partiti politici più vicini alle vostra battaglie?
Siamo doverosamente apartitici ma necessariamente trasversali. Quindi, il nostro raccordo con i politici , più che con le forze politiche, si sviluppa con coloro che manifestano una personale e dichiarata sensibilità alle battaglie che portiamo avanti.
Andrea Marsiletti
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