La rivolta dei Boxer

SMA MODENA
lodi1

20/06/2015

ACCADDE OGGI: In risposta ad un’estesa ingerenza straniera negli affari della Cina, i nazionalisti cinesi diedero l’avvio alla Rivolta dei Boxer, che portò all’assedio del quartiere della legazioni straniere di Pechino dove avevano trovato rifugio gli occidentali rimasti intrappolati nella capitale imperiale.
Entro la fine del XIX secolo, le potenze occidentali e il Giappone avevano costretto la dinastia regnate Qing ad accettare il controllo straniero in diversi settori della vita politica ed economica del paese. Le guerre dell’oppio, le ribellioni popolari, e la guerra sino-giapponese del 1894-1895 possono essere lette come tentativi della Cina di resistere a tali ingerenze, ma la mancanza di un esercito moderno aveva fatto sì che tutti questi confronti si fossero risolti in altrettante sconfitte per i Cinesi.
Nel 1898 l’imperatrice Tzu-hsi, dai sentimenti anti-occidentali, iniziò a manifestare le proprie simpatie per il gruppo nazionalista e xenofobo degli I Ho Ch’uan, chiamati comunemente Boxer per via di alcune mosse tipiche del loro stile di combattimento nelle arti marziali.
I Boxer, sostenuti prima di nascosto e poi sempre più apertamente dall’imperatrice e da consiglieri a lei vicini, crebbero in numero finché, verso la fine del 1899, la loro ostilità verso gli stranieri iniziò a manifestarsi in attacchi aperti contro gli occidentali ed i cinesi convertitisi al cristianesimo. Il 9 Giugno avvenne il primo attacco ad una struttura di proprietà occidentale a Pechino, quando i Boxer bruciarono l’ippodromo. Il ministro britannico MacDonald chiese immediatamente l’inviò di truppe di soccorso, che saranno pronte a partire di lì a poco comandate dall’ammiraglio Seymour.
La spedizione, che doveva essere a Pechino in tre giorni, dopo aver respinto diversi attacchi dei Boxer, si fermò a Hsiku dove ebbe notizia – in realtà falsa – che tutti gli occidentali a Pechino erano stati massacrati. Intanto il 16 Giugno nella capitale i Boxer avevano dato alle fiamme ad oltre 4.000 negozi che avevano commerciato con gli occidentali ed il 19 i ministri stranieri ricevettero un ultimatum che gli imponeva di lasciare Pechino entro 24 ore, allo scadere delle quali la loro sicurezza non poteva essere garantita.
Con le campagne circostanti sotto il controllo dei Boxer e teste di cinesi convertiti che venivano portate sulle picche a Tzu-hsi in segno di omaggio, nessuno si faceva illusioni su quel che sarebbe accaduto se l’ultimatum fosse stato accettato.
Il 20 Giugno i Boxer, la cui organizzazione contava ora su 100.000 uomini al comando della corte imperiale, presero d’assalto il quartiere diplomatico di Pechino, sede del potere occidentale in Cina, bruciarono chiese cristiane in città, e distrussero la linea ferroviaria Pechino-Tientsin. Mentre le potenze occidentali e il Giappone organizzarono una forza multinazionale da inviare al più presto per schiacciare la ribellione, l’assedio delle legazioni di Pechino si protrasse per settimane.
Dietro le mura che cingevano il quartiere diplomatico a sud della Città Proibita, 409 soldati delle varie potenze straniere sostenuti da poco meno di 500 civili resistettero all’assedio di decine di migliaia di Boxer.
Contemporaneamente, a circa 5 chilometri di distanza dal quartiere delle legazioni, un altro assedio stringeva Beitang o Cattedrale della Chiesa Cattolica Romana, dove 33 tra sacerdoti e suore, 43 soldati francesi ed italiani, e circa 3.000 cinesi cristiani respinsero i furibondi assalti dei Boxer.
Per tutto il tempo dell’assedio, che sarebbe durato 55 giorni, non vi fu alcuna possibilità di comunicazione tra gli assediati di Beitang e il quartiere delle legazioni. Una spedizione di soccorso di 20.000 uomini – metà dei quali giapponesi – sotto il comando del generale Gaselee partì da Tientsin il 4 Agosto e marciò su Pechino dove arrivo il 14. Quando la forza internazionale che comprendeva anche truppe tedesche, britanniche, russe, americane, italiane – composte da un contingente misto di bersaglieri, fanteria a cavallo e fanti di marina – e francesi entrò finalmente nella capitale, dopo essersi aperta la strada combattendo nel nord della Cina contro ripetuti attacchi dei Boxer, l’assedio ebbe termine.
Nel mese di Settembre del 1901 fu firmato il protocollo di Pechino che poneva formalmente fine alla rivolta dei Boxer. Con i termini del trattato, le nazioni straniere ottennero accordi commerciali estremamente favorevoli dal governo cinese, che dovette altresì accettare che contingenti di truppe straniere stazionassero permanentemente a Pechino. La Cina dovette inoltre pagare un indennizzo di 333 milioni di dollari e de facto divenne una nazione assoggettata agli interressi dell’occidente e del Giappone.

Alessandro Guardamagna