
29/11/2013
Intervista ad Andrea Bertora, referente del Comitato “Indipendenti per Renzi” di Parma.
Il Comitato “Indipendenti per Renzi” di Parma è rimasto fuori dal Congresso provinciale del Pd ma parteciperà a quello nazionale. Che senso ha?
In realtà, tutte le persone indipendenti in generale – e quindi anche noi – sono state consapevolmente escluse dai Congressi locali con l’infelice scelta di circoscrivere tali consultazioni ai soli tesserati, nonostante le rimostranze che abbiamo pubblicamente avanzato sul punto fin dall’estate scorsa.
Un iscritto al Pd avrà pur qualche diritto in più rispetto al primo che passa per strada, o no?
Intendiamoci: la frustrazione dell’attivista che dedica tempo e passione ad un partito per poi vedersi sottrarre il diritto esclusivo di deciderne la guida e la linea in favore di una platea più vasta ed indistinta, meno militante ed ortodossa ed, in alcuni casi, ritenuta addirittura estranea all’ambiente politico-culturale ed “inquinante”, è comprensibile. Infatti l’istituto delle primarie aperte è, per certi versi, un’apertura alla società “sofferta”, ma rivoluzionaria che va riconosciuta al Pd ed alla sua base. Ma, proprio per questo, una volta imboccata tale ammirevole direzione, non ha nessun senso “tirare indietro la mano” e respingere le persone che accorrono ai seggi, come in occasione delle primarie passate, o riservare ai tesserati la partecipazione ai livelli locali come se fossero riserve indiane. Ciò è controproducente per l’immagine del partito medesimo.
Occorre, infatti, come sottolineava Giachetti nel recente incontro tenuto a Parma, aggiornare gli strumenti di partecipazione politica e renderli coerenti alla presente fase post-ideologica dove l’impegno militante ed attivista in senso classico è assolutamente minoritario e desueto; altrimenti si corre il rischio che vadano a votare ai gazebo solo gli encomiabili volontari che li montano e li presidiano.
Nelle scorse settimane si è votato anche per la Convenzione del PD.
Sì, per le cosiddette Convenzioni, sono andati a votare in tutta la provincia circa 1500 persone (per un partito che, alle scorse provinciali, ha preso 73.000 voti), ovvero una base ristrettissima di soggetti che, peraltro, partecipando da tempo alle logiche interne del partito, partivano spesso da posizioni precostituite – ed, in alcune regioni, clientelari -, impoverendo così il dibattito.
Il congresso nazionale, invece, prevede primarie aperte, per le quali possono votare tutti e nelle quali riteniamo di poter fare la nostra parte nel convincere tanti elettori, indipendenti come noi, che tali consultazioni saranno una grande occasione di democrazia e cambiamento per il nostro Paese ed anche lo strumento per rendere il Partito Democratico permeabile alle pulsioni, alle istanze ed ai bisogni dell’intera società.
Ma perché un “indipendente” dovrebbe andare a votare ad un congresso nazionale di partito?
Intanto nello statuto del Partito Democratico, nonostante i tentativi di modifica dell’apparato oggi al potere, è rimasta l’idea che il segretario del partito sia, come ad esempio nel Regno Unito ed in altri Paesi occidentali, il naturale candidato premier dello schieramento progressista e, quindi, è senz’altro interesse di ogni elettore riformista, pur indipendente, di scegliere il proprio candidato alle elezioni politiche.
Ma a prescindere da questo, perché le primarie dell’8 dicembre, che contrappongono idee di rinnovamento ad atteggiamenti di conservazione, specialmente ove fortemente partecipate, potranno avere un significato ed un valore che trascende la specifica consultazione ed essere avvertita come il momento di rottura rispetto ad una fase politica inconcludente e che deprime ogni entusiasmo ed ogni speranza di rilancio. Potranno, infatti, rappresentare un punto di svolta per l’intero contesto politico, così come successe per i referendum elettorali nei primi anni novanta, ed anche più forte. Perché laddove prevarrà il rinnovamento nel Pd, per inevitabile contagio, potrà portare alla ribalta una nuova classe dirigente non cooptata anche in altri schieramenti ed ambiti, non solo politici, e libererà energie nuove, provenienti dallo società civile, al servizio del Paese.
Per questo, tale appuntamento rappresenta un’occasione da non perdere per chi ha a cuore una nuova fase di entusiasmo, rinnovamento e crescita. Ed è per questo che qualcuno teme che, nel fronte di retroguardia, si auspichi un rallentamento della partecipazione – anche tendenziosamente accreditando come scontati gli esiti delle primarie – e, magari, si tenti, surrettiziamente, di sabotarla per meglio resistere al vento del cambiamento.
Ed è per questo, quindi, che non bisogna cadere nel “trabocchetto”, bisogna andare a votare e convincere altri a farlo, perché ogni voto sarà un mattone indispensabile per la costruzione della svolta che tutti auspichiamo.
Che idea ti sei fatto dei Comitati Renzi di Parma?
I Comitati per Renzi di Parma, soprattutto quelli che si identificano nel coordinamento Adesso! Parma, “diretti” da Marco Franceschini ed ispirati dal consigliere regionale Gabriele Ferrari, hanno sempre svolto un ottimo lavoro. In essi operano cittadini impegnati ed attivi che, esclusivamente per la convinzione di lavorare per la causa giusta, profondono i loro sforzi ed il loro entusiasmo per preparare le iniziative e le campagne tra le mille difficoltà che le inevitabili lacune organizzative di un movimento che, anche a livello nazionale, è nuovo, spontaneo, privo di strutture, di risorse ed, a volte, anche di direttive univoche. Infatti, non operano certo con l’ausilio della macchina del partito o le strutture di correnti consolidate su cui, invece, possono contare i sostenitori di altri candidati!
Frequentiamo spesso le riunioni dei comitati, nelle quali, per la cultura e la preparazione dei presenti, si assistono a dibattiti e discussioni libere e di ottimo livello; peraltro, i comitati conquistano anche risultati politici di riguardo, come il considerevole consenso ottenuto da Matteo Daffadà nel Congresso provinciale, in un contesto non certo favorevole. Anche se in tale occasione è stata pure decisiva la capacità del candidato di convincere anche trasversalmente rispetto alle correnti del partito.
Peraltro, rispetto ai comitati più attivi nel Partito Democratico, ci sentiamo in certa misura complementari, visto che, da indipendenti, siamo meno interessati alla vita ed alle strutture del Partito Democratico e più concentrati sulla società civile, sulle tematiche a quest’ultima afferenti e care, su proposte di cambiamento relative alla città ed al Paese, su persone, valide anche se non tesserate, che possano comunque offrire un contributo competente al programma sostenuto da Matteo Renzi – anche per questo partecipiamo attivamente al think tank animato dal prof. Antonio Rizzi -. E, forse, siamo anche più liberi dai vincoli che l’appartenenza ad un partito inevitabilmente impone e, pertanto, nella posizione di veicolare messaggi più critici e, a volte, costruttivamente polemici.
Ad esempio, nell’ultima riunione, un mio intervento che richiamava in modo piuttosto forte a promuovere la partecipazione alle primarie anche, se necessario, in termini di contrapposizione democratica all’apparato oggi al potere è stato, pur cortesemente, contraddetto perché, se ho ben capito, rischiava di spaventare ed indispettire gli iscritti e “le loro famiglie”. Capisco tale attenzione, ma, dal basso dalle mia inesperienza in materia, mi sembra che, anche a livello strettamente aritmetico, sia più utile farsi ascoltare e convincere i 73.000 elettori – e se possibile anche chi fino ad ora non lo è stato -, piuttosto che i 1500 votanti alle Convenzioni.
Cosa rappresenta per te Gianni Cuperlo?
Danno entrambi l’idea di essere persone per bene, intelligenti e preparate, ma che non mi sembrano credibili per guidare una svolta delle dimensioni oggi necessarie.
Cuperlo, con indubbio stile ed eleganza, rappresenta, a mio parere, l’opzione più contigua all’idea tradizionale di segretario di partito. Ovvero colui che, lasciando ad altri il confronto diretto con i problemi contingenti del Paese, lavora tra un organismo interno e l’altro, cercando di fare sintesi tra le diverse sensibilità e risolvendo i contrasti, anche locali, tramite i compromessi meno traumatici – e quindi meno innovativi – possibili. Ci si occupa di nomine e sotto nomine, attenti agli equilibri esistenti e cercando di far funzionare al meglio tutti i “tentacoli” del “partito piovra” e gli apparati allo stesso connessi, gestendo un rinnovamento generazionale graduale e guidato tramite i tradizionali circuiti del partito, senza porsi in contrasto diretto con gli “elefanti” che oggi lo sostengono. Peraltro, nemmeno la sua idea di sinistra mi sembra innovativa, dal momento che, da buon ultimo segretario della FGCI, si coglie nei suoi discorsi come abbia sì evoluto e modernizzato, ma non superato, l’ideologia della rappresentatività di classe e della politica del conflitto. Questa ideologia è, a mio parere, non è compatibile con la società di oggi. Tranne poi, visto che un tale partito “di classe” non può avere vocazione maggioritaria, cercare inevitabilmente, al centro, alleati di governo.
E di Civati cosa pensi?
Civati mi sembra, invece, una figura più innovativa, anche perché si è fatto largo nel partito grazie alle sue idee, spesso coraggiose, e non tramite la benedizione di qualche “vecchio” leader. Parla sia del partito che del Paese con proposte originali ed approfondite e non ha paura di prendere posizioni scomode ed in controtendenza.
Tuttavia, non mi sembra che il suo approccio, a volte intellettuale ed a volte movimentista, abbia la “potenza” e la carica per coinvolgere nel progetto tutte le componenti della società necessarie per il rinnovamento massiccio di cui c’è bisogno. Suscita, infatti, la convinta stima e la fiducia di una cerchia ristretta di “addetti ai lavori” ma non mi sembra possa “sfondare” nelle simpatie dell’opinione pubblica con argomenti ora settoriali, ora tecnici, ora ideologici ed ora recessivi (come sulla Tav).
Credo, in definitiva, che rappresentino entrambi valide risorse da valorizzare, ove possibile, nella compagine plurale ed efficiente della futura classe dirigente, ma che nessuno dei due contendenti potrebbe portare il campo riformista alla tanto attesa vittoria ed autosufficienza, né che possano incarnare quel momento di svolta e di entusiasmo da cui ripartire per un Italia migliore.
Cosa rappresenta per Matteo Renzi?
Matteo potrà rappresentare, dopo tanta “palude”, una leadership democratica ma autorevole, moderna ed europea, irriverente verso i linguaggi e le pratiche della politica politicante, capace di ispirare, coinvolgere, unire, fornire una visione del futuro ottimista e positiva che è il presupposto indispensabile per motivare ciascuno di noi a contribuire con rinnovato entusiasmo, nei rispettivi ambiti, al rilancio dell’Italia verso una nuova era di progresso e prosperità. Lavorerà molto tra le persone, sulle loro concrete necessità e difficoltà e meno nelle sedi del partito.
Avrà il coraggio di rinnovare la politica nei suoi interpreti: non è un caso se quotidianamente D’Alema, Finocchiaro, Bindi & co. lo attaccano, anche in maniera scomposta e sul piano personale, con dichiarazioni e comunicati al limite del delirio: hanno capito che dopo decenni ininterrotti di incarichi politici, nell’organigramma di Renzi per loro non ci sarà più spazio perché hanno già avuto la loro occasione e non hanno avuto successo e perché le idee nuove vanno veicolate da persone nuove.
A livello di contenuti, Renzi che dice?
Renzi avrà anche il coraggio di cambiare i contenuti: infatti ha compreso che un grande partito riformista che ambisce a governare in modo autosufficiente nel 2013, non può essere solo un partito “di classe” o veicolo degli interessi tradizionalmente rappresentati dalla sinistra, ma deve tendere rappresentare tutta la società nella sua complessità e liquidità. Un partito deve cercare di cogliere, attraverso un’analisi sociale continua, e non attraverso la cristallizzazione di quella del secolo scorso, chi sono, di volta in volta, i soggetti e le categorie effettivamente più deboli ed esposte da sostenere, ma anche quelle più promettenti su cui investire. In un contesto in cui le dinamiche di risorse e bisogni non si giocano più nella dialettica tra una classe e l’altra, ma permeano in modo sempre più uniforme tutte le categorie, di modo che, il successo od il declino di una, si trasmette inevitabilmente anche alle altre. Anche il “totem ideologico” rappresentato dal conflitto tra pubblico e privato sarà superato nell’ottica di dare laicamente, ad ogni esigenza, lo strumento migliore per ottenere la soluzione migliore e più sostenibile, pubblica, privata o mista che sia.
Per questi motivi, mi appello a tutti i lettori, anche se indipendenti e non particolarmente convinti dal Pd di oggi, a cogliere l’occasione – una delle poche – di cambiamento che abbiamo a disposizione, non solo perché il Pd che uscirà dalle primarie potrà essere un soggetto del tutto nuovo, assai più attraente e più adatto a cambiare il Paese, ma anche perché una considerevole affluenza ai gazebo ed un voto massiccio a Matteo Renzi rappresenterà un messaggio assordante che potrà, di per sé, voltare pagina. Contagierà emotivamente di entusiasmo, ottimismo e voglia di cambiamento ogni ambito della politica e della società, innescando un processo virale e virtuoso nel quale sarà motivo d’orgoglio dire “c’ero anch’io”.
Andrea Marsiletti