
07/12/2014
ACCADDE OGGI: Domenica 7 dicembre 1941, alle ore 7.55 del mattino, ora di Honolulu, uno sciame di 360 bombardieri e caccia da guerra giapponesi scesero sopra l’isola di Oahu nelle Hawaii e colpirono con un attacco a sorpresa la base navale di Pearl Harbor, sede della flotta americana nel Pacifico, seminandovi morte e distruzione.
Il presidente Franklin D. Roosevelt e i suoi consiglieri sapevano che un attacco giapponese era imminente, ma nulla era stato fatto per incrementare le misure di sicurezza nella base a Pearl Harbor, nonostante fosse da ritenersi uno dei bersagli più probabili. Alle 7.02, due operatori radar avevano avvistato grandi gruppi di aerei in volo verso l’isola da nord, ma, poiché si aspettava l’arrivo di uno stormo di B-17 dagli Stati Uniti, fu detto loro di non impensierirsi e non dare l’allarme. Quando i capisquadriglia giapponesi videro la baia di Pearl Harbor piena di navi senza protezione e non un solo aereo americano in cielo, si resero conto di aver ottenuto la sorpresa totale e comunicarono alle portaerei da cui erano decollati il messaggio in codice “Tora, Tora, Tora!” (“Tigre, Tigre, Tigre!”) per segnalare che il piano d’attacco era iniziato con successo.
Cinque corazzate su otto, tre cacciatorpediniere, e sette altre navi furono affondate o gravemente danneggiate, e più di 200 velivoli andarono distrutti. Un totale di 2.400 americani morirono e altri 1.200 rimasero feriti. Le perdite del Giappone ammontarono a 30 aerei, cinque sottomarini, e meno di 100 uomini. Per Tokyo si trattò di una vittoria straordinaria, ma, fortunatamente per gli Stati Uniti, le tre portaerei della flotta del Pacifico erano fuori in mare per svolgere manovre di addestramento e non furono così attaccate. Esse costituirono gli unici mezzi impiegabili per spostare le forze americane nel Pacifico e formarono il nucleo attorno al quale gli Usa ricostruirono le loro flotta, con cui colpiranno il Giappone a Midway sei mesi più tardi.
Il giorno dopo il bombardamento a Pearl Harbor, il presidente Roosevelt dichiarò che il 7 dicembre 1941 rappresentava “una data che vivrà nell’infamia”. Dopo un breve discorso, chiese al Congresso di approvare una risoluzione che riconoscesse lo stato di guerra tra Stati Uniti e l’impero del Giappone.
Alessandro Guardamagna