Cambiamenti climatici: biodiversità a rischio anche nel nostro territorio. INTERVISTA ad Alessandro Petraglia (UniPr)

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“Siamo su un’autostrada per l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore”: non ha certo indorato la pillola Antonio Guterres segretario generale Onu, in apertura alla Cop27.

Mentre il bollettino mensile realizzato dal servizio cambiamenti climatici del sistema satellitare Ue Copernicus ci dice che le temperature di ottobre 2022, in Europa, sono state le più calde registrate nel mese, di 2 gradi superiori al periodo 1991-2020.Anche se le anomalie sono sotto gli occhi di tutti, abbiamo chiesto un parere scientifico per capire cosa sta succedendo agli ecosistemi del nostro territorio ad Alessandro Petraglia, docente di Botanica e Cambiamenti climatici globali del dipartimento Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma.

Professore, qualcuno mette ancora in dubbio i cambiamenti climatici e che molto dipenda dall’uomo, cosa pensa la comunità scientifica?

La comunità scientifica è unanime: da almeno 20 anni l’incremento di temperatura ha superato la variabilità interna al sistema climatico terrestre e i modelli climatici sono in grado di intercettare gli effetti dei driver che condizionano il bilancio energetico sul pianeta. Morale: il futuro che era stato previsto dai colleghi negli anni ’80 si è confermato, anzi forse è andata un po’ peggio del previsto. Il punto è che noi bruciamo combustibili fossili che, in questo processo, producono anidride carbonica e questa molecola, in atmosfera, aumenta l’effetto serra scaldando il pianeta. Questo è un fatto. Da decine di anni misuriamo con una rete di termometri la temperatura della Terra e osserviamo che è in aumento. È certamente colpa dell’uomo, ma anche se così non fosse dovremmo comunque mettere in campo una serie di adattamenti ai cambiamenti climatici, dovremmo prendere, in ogni caso, delle contromisure. Questo è il perimetro della discussione.

Questo tipo di fenomeni si osservano su scala globale, ma quali segnali possiamo registrare nel nostro territorio?
Quello che succede nel nostro territorio non è diverso da quanto accade in altri. La temperatura è aumentata a livello planetario di oltre un grado negli ultimi 150 anni, ma ci sono zone del mondo in cui è aumentata di più. In provincia di Parma, ad esempio, Arpae Emilia-Romagna ha registrato l’aumento di 1,5 °C rispetto al trentennio 1961-1990. Sono cambiate anche la frequenza e l’intensità delle precipitazioni, il quando e il quanto. Parlare di cambiamenti climatici in montagna e in pianura non è la stessa cosa. Anche solo mezzo grado in può cambiare un evento meteorologico da neve a pioggia. E mentre la neve su un pendio fonde molto lentamente ricaricando le falde acquifere, se la stessa quantità di acqua arriva in forma liquida non si ferma, scorre via velocemente. Il nostro gruppo di ricerca studia gli effetti cambiamenti climatici su ecosistemi di alta montagna e artico: gli ecosistemi freddi subiscono impatti maggiori perché normalmente le temperature sono basse e i processi biologici cambiano più velocemente, in quei contesti, anche a parità di variazioni di temperatura. In altre parole, se la temperatura passa da 0 a 2 gradi centigradi ci sono molti più cambiamenti rispetto a quando la temperatura, per esempio, passasse da 22 a 24 °C. L’aumento è sempre di +2 °C, ma gli effetti sul funzionamento degli ecosistemi sono molto diversi.

Cosa succede a piante e animali?
Nel nostro territorio ci sono ambienti più a rischio di altri che sono quelli di alta quota e quelli legati all’acqua, le zone umide. Le comunità vegetali di alta quota sono a rischio perché la minore quantità di neve e il maggior caldo hanno reso l’ambiente in cui vivono diverso dall’ottimale. Il progetto Gloria, col quale dal 2001 monitoriamo le cime più alte dell’Appennino, ci dice chiaramente che le cose stanno cambiando, riusciamo a vederlo. Si modificherà tutto il funzionamento dell’ecosistema a partire dai cicli del carbonio e dei nutrienti e questo avrà un effetto su piante, animali e quindi anche su di noi. Assisteremo all’estinzione di specie rare e a un aumento delle specie più comuni e a una omogeneizzazione degli ecosistemi. Altro ecosistema a rischio è quello legato all’acqua, le zone umide di pianura che sono state rovinate dalle attività dell’uomo: infrastrutture viarie, bonifiche, agricoltura. In queste zone vivono specie particolari che hanno bisogno di tanta acqua che sta diminuendo sia per i cambiamenti climatici ed anche perché siamo in competizione con loro per la stessa risorsa.

Cosa fare quindi?
Dobbiamo usare meglio la risorsa, cambiare il tipo di agricoltura, coltivare piante che richiedono meno acqua. Ci sono fiumi che in novembre non hanno acqua, non è normale, ma questi eventi sono sempre più frequenti, non dobbiamo essere miopi e guardare i record di quest’anno, ma che nell’ultimo decennio ci sono stati cinque degli anni più caldi degli ultimi 100.

E il singolo individuo può fare qualcosa?
Può fare la propria parte, ma non basta. Può usare meno l’auto, riciclare correttamente, utilizzare meno energia elettrica, tenere un grado in meno in casa e soprattutto può informarsi meglio e sviluppare le proprie conoscenze scientifiche per cercare di capire cosa sta succedendo. Questo credo sia un dovere. Inoltre il cittadino deve chiedere con forza che i soldi della comunità vengano investiti in energie rinnovabili e lo deve fare adesso, quando è ancora possibile fare qualcosa. Ci sono tantissime tecnologie che già oggi che ci consentirebbero di sostituire le attuali fonti fossili con energia pulita.

Tatiana Cogo