La morte di Gorbaciov ha riaperto per qualche giorno il dibattito sull’Urss e sul comunismo.
In generale il giudizio su colui che pose fine all’esperienza dell’Unione Sovietica è ancora oggi molto positivo in Occidente, così come negativo in Russia.
Il comunismo è stato anche gulag, purghe, privazioni delle libertà personali, persecuzioni, processi politici, deportazioni… lo scrivo subito a onore della verità, dell’onestà intellettuale e per non essere accusabile di millantato credito “stalinista”.
Fatta questa premessa incontrovertibile, nella consapevolezza che sia facile fare il comunista con il pugno degli altri, è vero che il comunismo sia stato l’ideologia che più ha cambiato il mondo introducendo principi di uguaglianza tra gli uomini e diritti anche nelle società che lo hanno avversato.
Mi piace pensare al comunismo come a una religione, una fede collettiva senza Dio, atea.
Non per nulla Jacques Maritain definì il comunismo come “l’ultima eresia cristiana”. Per il filosofo francese convertitosi al cattolicesimo esso era “la negazione coerente e assoluta della trascendenza divina, un’ascesi e una mistica del materialismo rivoluzionario integrale” che ha rappresentato per milioni e milioni di esseri umani la speranza di costruire il Paradiso sulla terra nel quale tutti gli uomini sarebbero stati uguali e ciascuno avrebbe agito secondo le proprie possibilità e ricevuto secondo i propri bisogni.
Al militante comunista era richiesto una dedizione totale alla causa della fede rivoluzionaria, fino al martirio di chi ha sacrificato la vita per la giustizia universale. Si pensi, ad esempio, a Che Guevara, la popolarità della cui immagine nel XX secolo impressa su magliette, portachiavi, tappetini per mouse e icone è stata seconda solo a quella di Gesù Cristo.
Mentre Stalin faceva esplodere con la dinamite la più grande chiesa ortodossa mai realizzata, la Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, per costruirvi sopra un grandioso tempio al Socialismo (incompiuto) che si sarebbe librato in cielo per quattrocento metri con in cima una statua di Lenin di cento metri, nel resto del mondo non vi è stato pensatore cattolico che non si sia trovato a fare i conti con il comunismo come misura discriminante, preso tra le due necessità dell’anticomunismo e del filocomunismo.
Il politico democristiano Giorgio La Pira, fervente cattolico e rappresentante di spicco del cristianesimo sociale, soprannominato il “sindaco santo” quando era primo cittadino di Firenze, dichiarato venerabile da Papa Francesco, rifiutò il comunismo come totalitarismo e si convinse che per superarlo si dovesse far abbandonare il materialismo marxista, chiedendo ai sovietici di tagliare dal grande albero del socialismo il ramo secco dell’ateismo.
E quindi quando nel 1997, con la Russia in piena crisi economica, Gorbaciov firmò un contratto con la multinazionale statunitense Pizza Hut per girare uno spot nella Piazza Rossa, nel quale i russi confessano che “grazie a lui, abbiamo molte cose… come Pizza Hut!”, non solo divenne una “macchietta” ma commise un atto sacrilego, sprezzante, irridente una storia in cui tantissimi uomini hanno creduto e in cui tanti, per moto di ribellione contro le ingiustizie sociali, sempre crederanno.