Il nostro è un Natale senza Dio, più ateo di quello sovietico che celebrava il Messiah della Rivoluzione (di Andrea Marsiletti)

A Parma, come in tutto il resto d’Italia e del mondo, ogni sindaco ha messo in piazza l’albero di Natale più o meno illuminato in base alla sua sensibilità anti-bollette, qualcuno dei Babbo Natale (a Sorbolo Mezzani si sfracella contro il muro del Municipio), a Fidenza si sogna a occhi aperti con una regale carrozza di Cenerentola trainata da cavalli.

Il Natale è la festa religiosa celebrativa dell’incarnazione del figlio di Dio sulla terra, insieme alla resurrezione pasquale è l’evento più rilevante della storia dell’Umanità. Si può credere sia un fatto reale o inventato, fede o superstizione, ma una festa religiosa rimane. Non è una palla luminosa, un regalo inutile da riciclare, una passeggiata nel centro pedonalizzato, una foto ricordo del proprio cane sotto l’albero, un effetto cromatico, peggio ancora, una facciata ipocrita di buonismo o di calore famigliare.

Cosa c’entrano con la nascita di Gesù, la ricerca di Dio e la preghiera, un vecchio nordico con la barba lunga vestito da giullare su una slitta, le renne che nella tradizione scandinava sono un simbolo lunare utilizzato nei funerali come guida delle anime nell’oltretomba, gli alberi decorati secondo la tradizione celtica per le celebrazioni del solstizio d’inverno?

La simbologia fuorviante, il consumismo ossessivo e totalizzante, l’atmosfera da film da settimana bianca di Christian De Sica (senza soldi) laicizzano il Natale e lo trasformano in una ricorrenza religiosa senza religione nella quale si imbucano i non credenti, che neppure dovrebbero riconoscerla.

A fronte di questa egemonia culturale laicista, a poco servono gli sforzi della Chiesa per richiamare l’attenzione sull’evento religioso in sè, quando anch’essa, per non apparire un ufo, non accetta le regole del gioco decise da altri in casa sua.

Più coerente e onesto intellettualmente era il “Natale sovietico”.

In realtà non era neppure “Natale”, perchè, in seno alla politica di laicizzazione del Paese degli anni Venti, quel giorno festivo fu abolito dal Partito Comunista in quanto dannoso per l’integrità dello spirito socialista. Una rimozione sostenuta dalle manifestazioni dei piccoli pionieri comunisti che appoggiavano la fine della “schifosa festa borghese” e del saccheggio dei boschi per fare gli alberi, elevando al cielo il canto:

“Presto sarà Natale,
schifosa festa borghese.
Le è legata da tempo memorabile
una tradizione scandalosa.
Nel bosco arriverà un capitalista,
retrogrado e fedele ai pregiudizi,
e abbatterà un abete con l’accetta,
rinnovando un brutto scherzo.
Solo chi è amico dei preti è
disposto a celebrare la festa dell’albero!”

Manifestazione dei pionieri contro l’albero di Natale.

Tuttavia, nel 1935 un articolo sulla Pravda annunciò il ripristino dell’usanza di addobbare gli abeti per Natale al fine di restituire ai bambini sovietici “l’atmosfera di fiaba e magia” del periodo invernale, naturalmente depurata da ogni riferimento religioso.

Non era più il Natale di Gesù, ma divenne la “festa di Capodanno”.

Babbo Natale, troppo associato al periodo zarista, cambiò nome e colore e al suo posto comparve “Nonno Gelo” vestito di blu accompagnato dalla nipote Sneguročka, “Fanciulla di neve”, considerata una personificazione dell’inverno.

Ma sopratutto esplose sugli alberi la simbologia decorativa del potere sovietico: la falce e il martello, le icone di Stalin e Lenin (financo di alcuni primari esponenti del Politburo del Comitato centrale del PCUS), modellini di astronavi sovietiche che conquistavano lo Spazio a esaltazione del primo satellite artificiale Sputnik e del cosmonauta Garagin, scritte apologetiche come “Il Comunismo trionferà”, oggettistica vegetale quale peperoni, carote, uva, cetrioli a testimonianza del progresso agricolo nel Socialismo. A seguito del Trattato di amicizia Urss-Cina del 1945 comparvero decorazioni legate alla cultura cinese quali draghi, lanterne e ventagli.

Le stelle comete non c’erano più. L’unica stella che brillava in cielo era quella rossa della rivoluzione.

E’ triste da dirsi ma il Natale stalinista era più spirituale di quello nostro vuoto occidentale.

Non c’era Dio, certo, però al centro della predicazione celebrativa c’erano un Mondo Nuovo da realizzarsi in vita, l’imposizione di una fede assoluta e la mistica di un Uomo Salvatore che il culto della personalità deificava a Essere superiore in terra.

Era la religione del Socialismo.

Era il Messiah della Rivoluzione.

Non era uno scambio di auguri privo di ogni significato.

Non può esserci Natale senza Dio.

Andrea Marsiletti

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