Intellettuali – influencer, Michele Guerra: “Se per Gramsci la forza era nella società politica, oggi è nella Rete. Lì dentro c’è il consenso profilato dal Capitale algoritmico”

L’assessore alla cultura del Comune di Parma Michele Guerra è intervenuto al webinar di qualche giorno fa dal titolo “Egemonia culturale: gli intellettuali di Antonio Gramsci al tempo degli influencer” sul tema “Per un approccio culturale all’egemonia culturale”. (LEGGI: “L’egemonia culturale di Gramsci” di Andrea Marsiletti)

Gli altri relatori sono stati Sergio Manghi, Renzo Rossolini, Massimo Rutigliano, Andrea Massari, l’influencer parmigiana Ilaria Milite con 250.000 follower su Instagram.

Di tutti i contributi daremo conto nelle prossime settimane.

Di seguito riportiamo l’intervento di Michele Guerra.

Il termine egemonia

Le parole di Gramsci non hanno perso i loro valore e significato, come testimonia il successo che questa figura ha avuto e continua ad avere a livello internazionale.

E’ chiaro che c’è qualcosa che non funziona più, che non riesce ad ancorare quei concetti alla politica quotidiana di questo 21° secolo così complesso.

La parola egemonia è molto importante sia dal punto di vista storico che etimologico. Deriva dal verbo greco “precedere”, “venire prima”, “guidare”, ovvero essere capaci di anticipare un processo. Per Gramsci questa parola diventa sinonimo di altre quali “democrazia”, “società civile”, anche “partito”. E’ un grande termine ombrello che tiene dentro tutte le questioni più importanti del nostro vivere comunitario che però oggi cessa di funzionare… anche a livello semantico. Se oggi proponessimo a qualcuno uno sguardo egemonico sulla nostra realtà penserebbe a qualcosa di aggressivo, a una guerra di conquista, all’assoggettamento di altre fasce di popolazione. Egemonia è diventata una parola negativa e scivolosa da usare.

Gli intellettuali gramsciani

Il mondo è cambiato, si è velocizzato, forse siamo tornati anche indietro.

Gramsci scriveva che la coscienza politica si costruisce per step: si parte da un’idea economica primitiva, che poi diventa una forma di solidarietà di interessi di classe che se ben gestiti si allargano sempre di più, e poi diventa ideologia, sovrastruttura, come diceva lui… ma dentro quell’ideologia comincia a esserci lo spazio per il ragionamento, per iniziare il percorso egemonico, nel senso progressivo del termine.

Per Gramsci gli intellettuali non erano quelli che intendiamo noi ai giorni nostri: non erano i letterati o le figure che oggi noi chiameremmo, per l’appunto, intellettuali: erano i politici, gli imprenditori, una classe ampia che innerva la società civile.

Oggi noi abbiamo molto impoverito questa classe intellettuale, che non viene neanche più cercata dalla politica, nè essa ha voglia di dialogare con la politica. Ciò costituisce una perdita molto forte. Gramsci sosteneva che la funzione degli intellettuali fossa doppia: organizzativa e connettiva.
Vorrei fermarmi più sulla seconda, quella che attribuisce agli intellettuali il ruolo di nodi che devono tenere insieme la rete, di punti dai quali bisogna passare per rendere il discorso funzionante. Come se ci fosse bisogno dentro quella società civile di persone che portano avanti un’intelligenza politica a prescindere da una loro diretta funzione dentro la società politica.

Questa figura intellettuale oggi si è marginalizzata completamente.

Prima c’era un’osmosi politico-culturale molto forte che ha caratterizzato la letteratura italiana, il cinema, la poesia, il teatro. A quell’epoca c’era stata veramente un’egemonia della sinistra molto evidente e importante dal punto di vista culturale. Essa è durata dalla fine della seconda guerra mondiale fino, se volessimo individuare una data simbolica, all’assassinio di Aldo Moro. In quel trentennio l’intellettuale, tenendo agganciati la società civile e la società politica attraverso gli apparati dell’egemonia, come li chiamava Gramsci, ovvero scuole, biblioteche, stampa periodica, aveva davvero un valore reale.

Tutti questi temi si sono persi.

L’intellettuale oggi

Se oggi noi ci chiedessimo dov’è e cosa fa l’intellettuale… beh, questi non è certo più un organizzatore, non organizza nulla, non è più un connettore perchè vive in ambienti che sono sempre più ristretti e la politica non ha più l’interesse che egli annodi i fili ormai stracciati.

Sono fermamente convinto che parole come “partiti”, “politica”, “società civile” siano termini da difendere e da riprendere. Non mi sento di dire che è “finita la politica”, “sono finiti i patiti”, “non c’è più la società civile”. Credo che tutto ciò ci sia ancora. Ma essendoci stata una cesura così forte bisogna capire dove andare a ricostruire queste funzioni organizzative e connettive.

Media digitali e “Capitale algoritmico”

Oggi è evidente che i media digitali svolgano quel ruolo, per la loro pervasività, per la loro forza.

Se prima per Gramsci la forza era nella società politica, oggi possiamo dire che essa è nella Rete. Se prima il consenso era nella società civile, oggi è dentro una Comunità che procede per stimoli consentendo una bassa possibilità di argomentazione, e viaggia veloce tramite algoritmi che profilano l’utente.

Oggi sappiamo che il “Capitale algoritmico” è il vero nemico da combattere perchè dentro c’è la profilazione di un utente e di un consenso che ha degli effetti molto forti soprattutto su certe fasce sociali.

Nello stesso tempo non possiamo demonizzare questo tipo di comunicazione. Dobbiamo scendere a patti con questo tipo di comunicazione e di velocità. Ad esempio, scrivere un post di 80 righe vuol dire essere fuori dal tempo. L’ottimismo della volontà, come direbbe Gramsci, serve per riuscire a stare dentro questi tempi.

Condizione “post mediale”

Nell’ambito degli studi sui media è stata teorizzata la cosiddetta condizione “post mediale”, cioè quella che viviamo tutti noi circondati da dispositivi tecnologici. Se oggi vi chiedessi quante esperienze mediali avete fatto, nessuno saprebbe rispondere: quanti messaggi whatsapp ho inviato, quante volte sono entrato su Facebook o mi sono collegato alla Rete. Sono informazioni che consegno a qualcuno che in quel momento diventa competente delle mie abitudini e dei miei desideri, con tutto ciò che può derivare a livello egemonico da parte di chi quei big data possiede.
La condizione post mediale è quella condizione molto particolare in cui la mia vita sociale non è più distinguibile dalla mia vita mediale. Si incontrano questi due orizzonti: la vita sociale coincide con il mio essere presente dentro determinati dispositivi e piattaforme e lì si consuma il mio impegno e la mia militanza. Credo sia il problema di tante generazioni e fasce sociali che non hanno la possibilità di sviluppare un pensiero critico su questi media.

Influencer

L’influencer è il risultato di un percorso mediale, tecnologico e comunicativo che porta ad avere molti follower e molto seguito sulla base di determinati contenuti che vengono prodotti ed erogati su piattaforme.

Alla fine, però, è il medium il vero messaggio. Non è più nemmeno tanto importante che cosa dice l’influencer (o meglio, ovviamente in parte lo è), è più importante la piattaforma sulla quale lo dice. Un conto è Instagram, un altro è Tik Tok, un altro ancora Facebook, che è un social che abbiamo visto invecchiare in pochi anni, diventato un luogo per persone “anziane” (tra cui mi metto anch’io).

L’eredità che ci lascia il pensiero gramsciano sull’egemonia cultuale è molto preziosa e non va dispersa. E’ ovvio che oggi si slega da quel contesto politico e ideale e da un’utopia che evidentemente ci ha messo di fronte a processi storici che ci hanno indicato altro.

Dobbiamo essere capaci di capire cosa voglia dire “precedere”, ovvero guidare un processo, comprenderlo per tempo e fare in modo che trovi i traghettatori giusti per renderlo comprensibile alla più vasta fascia di cittadini possibile… questo si chiedeva a Gramsci un secolo fa, e si chiede oggi a noi in un mondo completamente cambiato.

Abbiamo assistito a intellettuali che senza entrare nel partito ne sono stati la coscienza critica, perchè quei partiti li riconoscevano e ritenevano utili i loro contributi, e viceversa, gli intellettuali riconoscevano nel partito il luogo dell’elaborazione di un progetto.

Oggi che questo sistema si è sgretolato bisogna capire se qualcuno ha voglia di mettersi dentro un linguaggio diverso, provare a comunicare diversamente con quelle fasce di cittadini che non hanno più voglia di parlare di politica, partiti e società civile per far capire loro che queste sono ancora parole potabili che possono stare dentro la metamorfosi digitale nella quale abitiamo. Perchè altrimenti ci troveremo guidati dall’algoritmo.

Credo che gli influencer stiano avvertendo una certa responsabilità. Potrei citare Chiara Ferragni
che inizia a lanciarsi in battaglie più impegnate, anche culturali (sappiamo che gli Uffizi di Firenze si sono serviti di lei per rilanciare l’immagine di uno dei maggiori musei del mondo). C’è un tema di responsabilità che sta penetrando certi ambienti. Credo che la società civile e la politica non possano perdere questo treno per far sentire la loro voce cambiata (perchè deve per forza cambiare) dentro questo sistema.

Andrea Marsiletti

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