INTERVISTA – Giuliana Ceci: “Il Coronavirus ha chiuso di nuovo il cancello dell’ex Manicomio di Colorno, ma presto lo riapriremo”

SMA MODENA
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Giuliana Ceci lavora come infermiera al 1° Maggio, la Casa di Residenza per malati psichiatrici gestita dell’AUSL, che si trova a Colorno all’interno degli spazi dove un tempo c’era l’ex Manicomio.

Qualche settimana fa Giuliana scrisse un post sull’emergenza Coronavirus pubblicato da ParmaDaily (leggi: Se ne vanno nel nero silenzio che puzza di amuchina i nostri anziani, quelli dei dik dik, dei fotoromanzi e di amarcord…). L’articolo ha avuto un successo incredibile, al punto che è stato condiviso su Facebook ben 67.100 volte. E’ stato l’articolo più condiviso da quando il nostro giornale è online.

Ti aspettavi tutto questa visibilità del tuo post?

Assolutamente no. Da un post molto personale, anche asciutto oserei dire, la gente ha visto e immaginato, nell’ansia e nei timori verso i propri cari, il proprio passato con un’altra prospettiva.

Molti hanno pensato che io fossi in un luogo dove la gente in quel momento stava morendo.

Io, invece, quella notte ero con i miei pazienti, ma così emotivamente provata dal fatto che quel giorno erano state condivise tante restrizioni e chiusi tutti i cancelli. Eravamo isolati dal mondo, cosa mai vista prima. Un gesto estremo di tutela, una vera e propria reclusione per difenderci dal contagio e dalla possibile morte.

Fui presa da autentica commozione. Ho pensato a questo Paese, alla sua storia e a tutti i protagonisti che nel silenzio stavano diventando le prime vittime di questa epidemia, mentre noi paradossalmente eravamo i più fortunati.

Pensi che si inizi per davvero a vedere per davvero la luce in fondo al tunnel di questa emergenza sanitaria?

Dobbiamo imparare tutti a fare i gesti di salvaguardia con comportamenti virtuosi per non diffondere il contagio. Dobbiamo seguire le indicazioni. La luce c’è. Sta a noi andarci incontro con impegno.

In particolare nella tua struttura, quali sono i problemi che avete dovuto affrontare?

Noi non abbiamo curato il Covid-19, ci siamo dovuti organizzare per tutelare, difendere, salvaguardare la salute. Sapevamo che una residenza con pazienti con fragilità pschiche sarebbe potuta diventare un luogo critico. Non abbiamo trascurato nessun aspetto che garantisse l’incolumità dei pazienti dal contagio e contenesse il rischio per i cittadini nel contesto del paese. Nessun aspetto sia clinico che relazionale è stato sottovalutato. Nell’immediato non tutti i nostri pazienti erano in grado di capire cosa stesse accadendo e di comprendere la nuova organizzazione e la diversa condotta. Tutti ci siamo dati un unico obiettivo: qui il virus non deve entrare! L’isolamento ha sottolineato ancor più la solitudine di questi contesti che lo sono sempre per loro natura. La malattia mentale spaventa chi non la conosce.

Come il virus ha cambiato, se lo ha fatto, il rapporto tra voi operatori e i vostri utenti?

Abbiamo chiesto molto a persone che già avevano poco, di rinunciare alle loro passeggiate, alle loro non frequenti e a volte difficili ma importanti relazioni familiari, alle loro piccole spese. A limitare i loro contatti fisici anche verso di noi. A volte i nostri abbracci sono gli unici abbracci della giornata. Abbiamo condiviso con loro, passo per passo, tutti i cambiamenti, tentando di spiegarli senza spaventare, senza infondere paura. Se siamo riusciti a istillare un’incondizionata fiducia nonostante il rigore imposto, se riusciremo a non avere nessun contagio, il nostro impegno può considerarsi un successo. E per impegno intendo l’impegno di tutti.

Anche tu sei cambiata?

Improvvisamente mi sono tornati cari i ricordi. Non so se per il Covid o per l’eta! E tra i ricordi c’erano anche le mie capacità, competenze e desiderio di fare squadra, ritrovando la voglia di lottare.

Cosa ti ricorderai per sempre di questa emergenza sanitaria?

I miei compagni di lavoro e tutta l’equipe e la loro incrollabile tenacia, il loro supporto, la convinzione che tutto sarebbe andato bene. La creatività di tutti in un momento dove i mezzi erano pochi. La resilienza dei pazienti che conferma come in situazioni di emergenza sappiano mostrare la parte migliore che va oltre la malattia. Il silenzio. I fiumi di amuchina. Il grande cancello che quella notte fu chiuso dopo che molti anni fa Basaglia aveva creduto di averlo aperto per sempre. Un cancello che sarà riaperto spero presto.

Andrea Marsiletti