La Russia ospite del Salone del Libro di Torino

SMA MODENA

16/05/2011
h.10.10

Su tutto il brusio indistinto di una città.
In movimento frenetico, scomposto, vivo.
Migliaia di visitatori che passano da uno stand all’altro, le mille voci degli autori di tutto il mondo. Questo e molto altro. Il XXIV Salone Internazionale del Libro a Torino incalza il visitatore con un programma fitto di eventi, incontri, dibattiti. C’è da perdersi. La Russia, in occasione dell’anno della cultura russa in Italia e italiana in Russia, è l’ospite d’onore del Salone. Lo spazio del grande Paese ha una struttura ordinata: espositori color granito che hanno l’aspetto di vecchi palazzi sovietici sono riempiti alla base, in maniera confusa ma studiata, di centinaia di volumi in cirillico.
Accatastati uno sull’altro, gettati. È facile passare da un romanzo di Dostoevskij a un libro di fiabe della tradizione. La conchiglia centrale, che ospita palco e gradinate, si riempie e svuota a ritmo incessante. Uno dopo l’altro, come in una sfilata, i grandi nomi della letteratura russa contemporanea si raccontano ai lettori, italiani e russi espatriati. Elana Chizhova ha 54 anni, di Leningrado, racconta la sua vita in Urss. La sua voce scava in un mondo lontano, dove si mettevano i chiodi nella (poca) farina per non farla ammuffire. Un mondo di fame infettato da quella metastasi che, dice, fu lo stalinismo. Non scrive per vendetta ma perché non si dimentichi, per la memoria, il tema a cui è dedicato questo Salone torinese.
Ci sono anche volti più giovani. Michail Elizarov ha solo 38 anni, una lunga coda corvina e le guance mal rasate. Racconta di una Russia contemporanea che ha smarrito la mitologia pagana che caratterizzava il periodo sovietico. Mitologia atea ma ricca di valori alti, prima del moderno culto dell’io, prima dell’insaziabile fame del capitalismo di oggi.
Per Elizarov un’unica via è percorribile: quella del «miracolo», della grande narrazione. Proprio di questo sono dense le pagine del suo ultimo romanzo Il bibliotecario. Sul palco non solo scrittori. Aleksandr Nikolaevič Sokurov, di Podorvicha, è maestro del cinema russo ma parla dell’assoluta supremazia della letteratura su tutte le arti. È necessario riscoprire, rileggere i grandi romanzi del XIX secolo sia russi che europei. «La civiltà è stata creata dagli scrittori» dice ad un pubblico numeroso, che starebbe ad ascoltarlo per ore. È poi il momento di Viktor Erof’eev, famoso dissidente, pozzo inesauribile di aneddoti sull’Unione Sovietica. Apprezzatissima anche Ljudmila Ulitskaja, la scrittrice forse più spirituale della Russia di oggi. Il suo Daniel Stein traduttore è un autentico inno poetico, dove la lingua, quella del traduttore protagonista e quella dell’autrice narrante, sa scavare le profondità dello spirito e dei misteri trascendenti.
Un racconto profondo, di disarmante chiarezza. Oltre il vezzo filosofico c’è tutta la durezza dell’umano: qui scrive Zakar Prilepin. Boxeur, poi guardia privata ed infine soldato in Cecenia durante le guerre condotte dalla Russia nella piccola Repubblica caucasica. Il suo Patologie è una storia feroce, di guerra ma allo stesso tempo di ricerca e rinascita spirituale. È il viaggio dentro la patologia del protagonista, quella “malattia” che si scopre solo se si ha il coraggio di oltrepassare il muro dell’indifferenza. Una storia spicciola, umana, che diventa specchio di una condizione naturale, vuoi universale.
Quello che resta di questi giorni di Salone visti dallo spazio della Grande Russia è un profondo legame, una assonanza tra il nostro paese e quello che fu culla del grande romanzo ottocentesco. Un affetto che sottolineano da tutti gli autori, davvero felici di esserci, che si arrischiano anche in esternazioni nella lingua di casa. Del resto già lo diceva Montanelli: «Gli italiani sono la versione comica dei russi. I russi quella tragica degli italiani».

Edoardo Malvenuti