L’Italia è uno Stato nato sul debito pubblico (di Stefano Gelati)

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Camillo Benso Cavour

I testi di diritto pubblico scrivono che lo Stato Italiano, costituito e formalizzato nel 1861, é la continuazione giuridica dello Stato Sardo – Piemontese.

La legge n°1 del Regno d’Italia stabiliva che Vittorio Emanuele II ( Re di Sardegna) assumeva per se ed i suoi successori il titolo di Re d’Italia.

I Savoia il titolo reale l’avevano per la Sardegna, con il solo Piemonte e la Savoia sarebbero “rimasti” al titolo ducale.

Quello che, per convenzione storica, chiamiamo il Piemonte, diede al nascemte Stato unitario non solo la sua costituzione, lo Statuto albertno del 1848, le sue istituzioni, ma anche il suo ingente debito pubblico.

L’ Italia del 1861, che non comprendeva ancora Roma e il Lazio e il Veneto, riconobbe il debito degli Stati preunitari; non poteva essere diversamente per ragioni giuridiche ed anche sostanziali. Infatti il 57% del debito pubblico unitario era proprio del “generatore” del processo di unificazione, il Regno Sardo – Piemontese; lo Stato più esteso e popoloso, il Regno delle Due Sicilie rappresentava il 29,4 % del debito totale, seguivano il Gran Ducato di Toscana ed i due Ducati di Modena e Parma. Lo Stato Pontificio nel 1861 era ancora esistente, anche se limitato a Roma e al Lazio.

Quali erano le ragioni di un debito pubblico piemontese così rilevante, tanto che tra la prima e la seconda guerra d’indipendenza, dal 1848 al 1859, aumentò di quasi sei volte, del 565%.

In quello che gli storici chiamano il “decennio di preparazione”, dominato dalla figura politica di Cavour, la spesa pubblica piemontese esplose non solo per le due guerre d’indipendenza e la spedizione in Crimea con le conseguenti spese militari, ma anche per costruire importanti infrastrutture ferroviarie e di bonifica.

Le ridotte dimensioni dello Stato, composto da Piemonte, Liguria, Nizza, Savoia e Sardegna, con meno di cinque milioni di abitanti, non consentivano delle entrate tributarie sufficienti ad affrontare l’esplosione della spesa pubblica, alimentata anche da rilevanti interessi, neanche con delle entrate strordinarie.
La serie dei disavanzi annuali, sempre crescenti, non poteva che finanziarsi che con l’emissione di titoli del debito pubblico da collocare tra i risparmiatori o contraendo prestiti con le istituzioni bancarie del tempo. Il debito pubblico piemontese non poteva essere collocato tutto all’interno di uno Stato così piccolo, infatti una parte rilevante dei titoli di debito era in posseso di risparmiatori francesi; un’altra parte del debito era finaziata da prestiti concessi da istituzioni bancarie, soprattutto imglesi.

L’alleanza tra il Piemonte e la Francia del secondo impero, nella seconda guerra d’indipendenza contro l’Austria del 1859, non aveva solo ragioni politiche, ma anche finanziarie; la borghesia francese del periodo che possedeva i titoli del debito piemontese, avrebbe rischiato di non vedersi pagati i loro titoli, alla scadenza, in caso di sconfitta e dissesto finanziario del Piemonte.

La guerra terminò dopo due mesi di combattimenti, per volontà della Francia, con l’annessione della Lombardia al Regno Sardo – Piemontese, già allora una regione ricca che avrebbe consentito un consistente gettito tributario, quindi una sostanziale garanzia per la platea dei risparmiatori francesi possesori dei titoli piemontesi.

L’indicatore del debito pubblico più significativo é il rapporto dello stesso con il Pil (Prodotto interno lordo) che è il valore dei beni e servizi finali (escluse materie prime e semilavorati) prodotti nel territorio di uno Stato in un determinato periodo di tempo, generalmente un anno, al lordo degli ammortamenti.

Nel 1861, con la Stato unitario appena costituito ed il coseguente aumento del Pil di riferimento, il rapporto debito – Pil era del 45%. Tale rapporto schizzò a 108 nel 1901, a 123 nel 1921, dopo la Grande Guerra, a 106 nel 1941 all’inizio del secondo conflitto mondiale.

Il secondo dopoguerra presenta un dato che merita un’analisi sintetica; nel 1951 il rapporto scese al 27% del Pil, grazie alla dilatazione dello stesso a causa dell’inflazione galoppante del 1946 – 47; quindi la nascita della Repubblica, ha goduto di un debito pubblico “lavato” dall’inflazione.

Facciamo un salto nell’attualità, nell’ultima rilevazione il debito pubblico italiano ammonta a 2765 miliardi di euro, pari al 150,2% del Pil. Il terzo più consistente al mondo, dopo Giappone e Grecia.



A quando risale lo”zoccolo duro” di questo debito? I numeri non mentono, si passa da un rapporto uguale a 65 nel 1981 a 101 nel 1991, quindi emergono gli anni ottanta del secolo scorso come quelli di una finanza particolarmente “allegra”. Anni dove il Pil si espandeva in termini reali ed anche grazie all’inflazione, ma il debito esplose, a causa delle spese per interessi sullo stesso e soprattutto per le mancate entrate per una sistematica evasione fiscale nel decennio considerato, più che per un’anomala espansione della spesa pubblica, nello stesso perodo inferiore a quella tedesca e francese, calcolata per abitante.

Dopo tanti numeri, bisogna considerare la costante del debito nella storia dello Stato unitario italiano, fin dalla sua nascita, con la conseguenza che il pagamento di rilevanti interessi, sottrae risorse alle generazioni future.

Stefano Gelati