“No alle armi, sì al dialogo per la pace tra Ucraina e Russia”. INTERVISTA a Nicola Maestri, presidente Anpi Parma

SMA MODENA

Portare avanti i valori di libertà e democrazia, tramandare ai più giovani la “memoria” e insegnare la storia per capire da dove si viene ed evitare di commettere gli stessi errori del passato. Sono questi gli obiettivi principali di Nicola Maestri, nuovo presidente di Anpi Parma (Associazione nazionale partigiani d’Italia).

Maestri è nipote di un martire della resistenza, Eleuterio Massari che il 1° settembre del 1944 fu ucciso assieme ad altri sei compagni in piazza Garibaldi a Parma, lasciando la moglie di 33 anni e tre figli, tra cui la madre che all’epoca aveva solo 22 mesi.

“Tutte le volte che entro qui, dove venivo già da bambino, penso che non avrei mai immaginato di ricoprire questa carica. Forse la storia di mio nonno ha giocato un ruolo. Il valore che mi lega alla resistenza viene da lontano e ho sempre respirato in casa l’ingiustizia subita. Provengo da una famiglia antifascista fervente che però mi ha insegnato la tolleranza. E Anpi è una casa inclusiva.

Alla storia del nonno, Maestri ha dedicato un libro “Ti riporto a casa”, uscito nel 2014. “Ho avuto la fortuna, grazie al libro, di fare molti incontri con bambini e ragazzi, dalla primaria all’università e ho capito che hanno molto bisogno di esempi positivi. Il fatto che fosse la mia storia quella che raccontavo, permetteva loro di contestualizzare e di riconoscersi. Dobbiamo contrastare la caducità della vita, purtroppo sono meno di 10 i partigiani della provincia di Parma ancora in vita e circa 600 a livello nazionale, per questo è importante puntare sui giovani per non dimenticare – spiega Maestri”.

Sono 2600 gli iscritti in tutta la provincia di cui 800 a Parma, un’associazione di volontariato che in tutta Italia conta 135.000 persone. E i numeri sono in aumento. “Questa è la casa di tutti gli antifascisti, ma ognuno di noi ha idee diverse, ci sono varie sfumature, il nostro pensiero non è univoco. Così come i partigiani non avevano la stessa provenienza politica. Oggi i partiti politici soffrono di un male trasversale che porta alla disgregazione e allo scollamento con le persone. Forse è proprio perché questa è una casa in cui tutti possono partecipare che continuiamo a crescere.

È stato eletto presidente pochi mesi quali i suoi obiettivi?

Gli obiettivi sono molteplici. Il mio compito è quello di coordinare tutte le sezioni del territorio.
Stiamo cercando, in modo capillare, di avere in ogni paese della provincia una sezione (occorrono 20 iscritti) perché le richieste ci sono. E poi abbiamo chiesto a tre persone della nostra segreteria, Brunella Manotti, Giavanna Bertani, Cristina Dieci che sono insegnanti, di investire tempo e risorse in ambito scolastico e culturale: abbiamo dato loro carta bianca, questo la dice lunga sull’importanza che ha per noi il trasmettere i valori della resistenza alle nuove generazioni.

Il 25 aprile è alle porte, i valori della resistenza in questo contesto storico e con una guerra al centro dell’Europa sono ancora più forti?

Credo che, in realtà, il 25 aprile debba essere tutto l’anno, perché è una filosofia di vita, limitarsi solo al giorno della festa è riduttivo, i valori che ci sono stati tramandati devono vivere nella quotidianità. Quello che hanno mosso quei ragazzi di allora era lo spirito unitario, cosa che poi si è visto in pochissimi altri frangenti della nostra storia recente. Persone provenienti da ceti sociali, estrazione e formazione politica totalmente diversi decisero che era arrivato il momento di dire basta alla dittatura. Si organizzarono e col passare del tempo da poche centinaia arrivarono ad essere quasi 300.000. Il messaggio che continua a sopravvivere è quello del farsi carico dei problemi altrui. Credo che la resistenza debba essere portata avanti nel quotidiano, mettendoci la faccia, non facendo finta di niente e non girandosi dall’altra parte.

La posizione di Anpi sul fatto di armare l’Ucraina anche a livello nazionale è stata molto criticata, lei cosa ne pensa?

Già dal 22 febbraio giorno in cui è uscito il comunicato stampa la posizione di Anpi è sempre stata molto lineare. Cosa che è rimasta anche durante i lavori del recente congresso nazionale al quale hanno partecipato 380 delegati, nonostante ci siano al nostro interno sfumature diverse. Di fronte alle immagini che arrivano ogni giorno ovviamente ci si pone delle domande ed è un travaglio di coscienza. La posizione Anpi, che condivido, è che la strada da percorrere sia quella del dialogo e crediamo che purtroppo ci siano diversi attori che latitano. Questa volontà di arrivare almeno al cessate il fuoco non c’è. Tolstoj diceva “non si può asciugare l’acqua con l’acqua, non si può spegnere il fuoco con il fuoco, quindi non si può combattere il male con il male”. Se si continuano ad aggiungere armi non si può raggiungere la pace. Secondo noi di armi lì ce ne sono anche troppe ciò che manca è la volontà ferrea e costante di cercare la pace. Spendersi per la pace, naturalmente, non vuol dire lasciare la popolazione allo sbando, il Parlamento ha votato anche sull’accoglienza e sull’aiuto alla popolazione ucraina e su questo noi siamo pienamente d’accordo. Non siamo d’accordo solo sull’invio di armi. Siamo stati accusati di voler uscire dalla Nato, ma Anpi non ha mai posto la questione. Forse siamo stati attaccati perché siamo un’associazione scomoda.

Cosa risponde a chi dice che anche i partigiani sono stati armati e senza l’aiuto esterno non si sa come sarebbe finita la resistenza?

Trovo una forzatura fare un parallelismo di questo tipo, è una posizione faziosa. L’Italia era in guerra il contesto storico era diverso, eravamo in una guerra mondiale. Certo ogni popolo ha il diritto di difendersi e autodeterminarsi, ma non crediamo che la strada sia quella di aggiungere armi ad armi. L’Ucraina ha bisogno di un aiuto al dialogo, anche se di fronte si trova un dittatore criminale. Il contesto invece è quello dell’Onu con le sue lentezze, della Ue che si è mostrata unita, ma ha meccanismi farraginosi e di Cina e Usa a fare da spettatori interessati, non c’è un vero impegno.

Cosa significa resistere oggi?

Oggi dobbiamo resistere a tante cose. Per esempio siamo usciti da una pandemia, che è stata devastante per tante famiglie, con una domanda: saremo migliori o peggiori? La prima risposta è stata una guerra, questo purtroppo è deprimente.

Ciò che mi ha confortato al congresso nazionale è stato il fatto che erano presenti moltissimi giovani e fra questi molte donne, anche presidenti di sezioni provinciali.

Donne e giovani sono il futuro, credo che le donne dovrebbero ricoprire ruoli ben più importanti di quelli che ricoprono oggi, anche a livello politico.

Tatiana Cogo