Racconto di Natale 2022 (di Luca Farinotti)

Nel gennaio 2020, alla presentazione del volume “Parma. I narratori raccontano la loro città” (Diabasis, 2019), la Palatina gremita è ignara della tragedia che da lì a pochi giorni attanaglierà il mondo.

Lucia de Ioanna mi intervista per Repubblica e mi chiede: cos’è per te Parma? Spalle al muro, mi volto verso il mio capitano Leandro del Giudice, in cerca d’aiuto. Cos’è per me Parma? – gli chiedo. Parma, per te, è Proust – dice lui, che mi conosce più di me stesso. Poi, un tonfo sordo ci confina in un silenzio interiore teso e sospeso, spossante, per quasi tre anni. Ora, al riudire l’antico frastuono della città, in frenesia per il Natale, intendo finalmente il senso della risposta del mio Cyrano. Nel giorno in cui la vita non ci procura più gioie, la luce che se le è assimilate ce le restituisce. Per noi è soltanto una reminiscenza della felicità; ce la fa gustare nell’istante presente in cui essa brilla e insieme nell’istante passato che ci rammenta, o meglio tra l’uno e l’altro, fuori dal tempo, ne fa veramente delle gioie di sempre.

Oggi torno nella terra che mi ha visto crescere e sognare: i Boschi di Carrega, tra Sala Baganza, Collecchio e Talignano dove, scolpito sulla lunetta dell’antica Pieve, San Michele pesa le anime insidiato da una natura abbandonata che sa cogliere l’invito a essere maligna; la casetta rossa del Centro Parco, in strada Capanna – ricordo il suo dolce focolare vivo – ha perso la sua luce: avvolta da una nebbia grigissima, è sprangata, dismessa.

Mi dicono, all’asta. Il recinto dei caprioli: marcio, spezzato. Intorno al vecchio centro della L.i.p.u. solo il soffio ghiacciato degli spettri silvestri che fa scricchiolare i rami secchi. Possibile che nessuno si occupi più di questi luoghi? Mentre mi avvicino al Casino dei Boschi, le mie orecchie mi restituiscono nitida la musica di un quartetto d’archi. Era venti o trent’anni fa. Rivedo i volti di mio padre e di uomini e donne sorridenti. Risento anche un suono mai vissuto prima, immaginato, più indietro nel tempo: l’operosità viva di quella che era quasi una città sotto Maria Luigia.

Mi fermo. Qui, nel presente, riesco a sentire null’altro che il silenzio compatto di tristi rovine private persino del conforto di una Memoria. “I luoghi che abbiamo conosciuto non appartengono solo al mondo dello spazio, nel quale li situiamo per maggiore facilità. Essi sono uno spicchio sottile fra le impressioni contigue che costituivano la nostra vita di allora; il ricordo di una certa immagine non è che il rimpianto di un certo minuto; e le case, le strade, i viali, sono fuggitivi, ahimè, come gli anni”. Gli alberi si ammalano, come gli animali e gli uomini, anche di malinconia. Ora ho davanti a me la vecchia Osteria di Talignano, disabitata da lustri. I miei occhi piangono un’epoca di voci in festa, viventi nella luce di finestre ora più buie della notte.

La Trattoria di Cafragna, icona dell’ultima belle époque ducale, è ancora deliziosamente provenzale coi suoi vasi di fiori ben curati. Ma, dietro ai suoi battenti sbarrati per sempre, il tintinnio di calici d’argento e il profumo di risotti d’oro non son altro che spicchi sottili di tempo. Un Suv nero sfreccia sulla strada buia e fredda, diretto a una villa, coi regali di Natale sui sedili.

Non c’è più nulla da portare via.

Luca Farinotti

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