
03/12/2012
h.11.30
Le primarie sono già belle per definizione, se poi per la prima volta sono anche vere come quelle tra Bersani e a Renzi, lo sono ancora di più. Partecipazione, volontariato, passione, anche scontro… la politica deve essere questo. Altre modalità di fare politica esistono, le abbiamo viste e hanno fallito.
L’unica nota spiacevole di queste primarie sono state le regole fatte “ad personam” da un candidato contro l’altro, compensata in un qualche modo dalla rinuncia di Bersani al diritto statutario di candidarsi a premier e dalla sua scelta di rimettersi comunque al voto del popolo di centrosinistra.
Il Pd è il solo partito che oggi possa permettersi di fare delle primarie, financo di sostenere un confronto interno. Forse il PD è rimasto l’unico partito in Italia, con un po’ di democrazia interna, con degli strumenti che rendono la leadership contendibile, con una linea politica modificabile dal volere delle persone che collettivamente lo compongono.
Ha vinto Bersani, come da pronostici. Chi si stupisce della percentuale con la quale si è affermato al ballottaggio o fa il finto tonto o non conosce le regole del gioco: non avrebbe potuto essere diversamente considerato che al secondo turno poteva votare solo chi lo aveva fatto al primo; che il 15% di Vendola potesse finire su Renzi che aveva una visione per molti aspetti opposta a quello di Sel e aveva fatto capire di non volere quel partito quasi quasi neanche in coalizione era piuttosto improbabile.
La grande sorpresa di queste primarie è stato indubbiamente il successo di Renzi che, insieme ad un manipolo di giovani rottamatori, all’1% dei segretari provinciali e al 2% dei parlamentari schierati con lui, ha lanciato la sfida a tutto l’apparato del partito, alle organizzazioni economiche e sindacali ad esso collaterali e al 100% degli altri partiti della coalizione ed è riuscito a raccogliere il 40% dei consensi dell’intero centrosinistra, per di più con delle regole fatte apposta perché non potesse beneficiare di un più ampio voto dì opinione.
Il renzismo ha fatto breccia ed è stato l’apriscatole del cambiamento innescando un processo di “rottamazione” che sarà più soft di quanto sarebbe stato se avesse vinto, ma che sarà inevitabile anche per Bersani.
Renzi ha avvicinato un elettorato che non ha mai votato PD ma che è suo, non del PD. Se oggi i sondaggi danno i democratici in crescita il merito principale è di Renzi. E’ difficile pensare, infatti, che questo incremento derivi dall’aver fatto le primarie in sé… sono 10 anni che il centrosinistra fa delle primarie, anche più partecipate di queste ultime a cui hanno votato 1 milione di persone in meno rispetto al passato. E’ difficile parimenti sperare che questi voti “nuovi” rimangano al PD perché ha vinto il segretario nazionale del partito degli ultimi tre anni e il ministro di tre Governi di centrosinistra di cui conosciamo bene l’opinione maturata dagli italiani.
Bersani dovrà trovare il modo di stabilizzare il consenso di Renzi ma, se ciò può avvenire dentro il centrosinistra, mi pare difficile possa realizzarsi dentro al Pd.
Quando tra una settimana nessuno ricorderà neppure più che si sono fatte le primarie e il loro effetto mediatico sarà svanito, rimarranno sul campo le cose vere, quelle che contano, ovvero le proposte per il futuro del Paese o la loro drammatica assenza.
Perchè con le parole non si va lontano. Forse si potranno anche vincere le elezioni visto lo sbragamento e la nullità degli avversari storici di centro e di centrodestra, ma poi quando si va a governare il Paese lo si fa con i risultati che ben conosciamo.
Dopo i disastrosi governi di centrodestra, non penso l’Italia potrebbe permettersi la riedizione dei disastrosi governi di centrosinistra. Abbiamo già dato. La situazione economica è difficilissima, la disoccupazione fa paura, non c’è da scherzare. Il tempo delle burlate è finito.
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