
Settantatre anni fa presso Isbuscenskij, un piccolo villaggio situato in Russia lungo un’ansa del fiume Don, avveniva quella che viene generalmente considerata come l’ultima carica di cavalleria della storia.
Alle prime luci dell’alba del 24 agosto 1942 il Savoia Cavalleria, che comprendeva circa 700 effettivi, si preparava a riprendere la marcia verso le sponde del Don, dopo aver trascorso la notte in mezzo alla steppa. Prima di togliere il campo, gli italiani inviarono in avanscoperta una pattuglia a cavallo che s’imbatte in un gruppo di soldati sovietici che iniziarono subito ad aprire il fuoco. All’insaputa degli Italiani durante la notte 2.500 soldati dell’812º reggimento di fanteria siberiano si erano avvicinati a circa un chilometro dall’accampamento e si erano trincerati in buche fra i campi di girasoli, formando un ampio semicerchio da nord-ovest a nord-est, e attendevano l’alba per attaccare il Savoia. Nell’accampamento italiano vi fu un momento di sconcerto presto superato quando venne dato ordine alle batterie di aprire il fuoco, cosa che fece arretrare la prima linea sovietica. Resosi conto della situazione e del terreno occupato dal nemico, il colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, comandante del Savoia, ordinò al secondo squadrone del capitano Francesco Saverio De Leone di caricare i sovietici sul fianco.
Dopo aver compiuto un’ampia conversione circa 100 cavalleggeri Italiani al grido di battaglia di “Savoia!” caricarono a sciabole sguainate e con granate le postazioni dei Siberiani, armati di armi automatiche e mortai. La manovra prese i sovietici di sorpresa e li indusse a ripiegare in disordine. Nel frattempo, ad ondate successive, anche il quarto e terzo squadrone del Savoia si erano lanciati sul nemico, insieme al secondo squadrone, che rimasto isolato dietro la linea nemica, compì una seconda carica per rientrare, aumentando così il caos fra le truppe sovietiche in ritirata. Attorno alle 9.30 il combattimento si era concluso. Il Savoia aveva avuto 32 morti e 52 feriti, ed un centinaio di cavalli erano caduti, mentre i siberiani avevamo subito 150 morti ed avuto 600 prigionieri, oltre ad aver perduto diversi mortai e cannoni abbandonati durante il ripiegamento.
La coraggiosa azione dei cavalleggeri del Savoia contribuì ad allentare temporaneamente la pressione dell’offensiva russa sul fronte del Don e il reggimento venne insignito della medaglia d’oro allo stendardo. Alcuni ufficiali tedeschi, giunti sul posto al termine dello scontro, si congratularono con Bettoni dicendo “Colonnello, noi queste cose non le sappiamo più fare”. Il commento, come fece notare Indro Montanelli, lasciava indirettamente trasparire nell’ammirazione anche una punta di critica, poiché sottolineava implicitamente che gli Italiani sapevano fare bene cose ormai anacronistiche, mentre i loro quadri militari mancavano di fare quelle necessarie alla conduzione della guerra moderna.
Isbuscenskij è considerata come l’ultima carica di una certa importanza compiuta da un’unità di cavalleria nella storia, anche se non è l’ultima in assoluto. Nell’Ottobre del 1942 infatti reparti di cavalleria italiana caricarono a Poloj in Croazia gruppi di partigiani iugoslavi, ed altre cariche di cavalleria avvenneronegli anni ‘70 in Rhodesia, l’attuale Zimbabwe. Oggigiorno i cavalli compaiono ancora sul campo di battaglia, specialmente per attività di ricognizione, come nel 2001 quando appartenenti alle forze Usa in Afghanistan li hanno impiegati per spostarsi in aree accidentate a fianco dei contingenti dell’Alleanza del Nord.
Alessandro Guardamagna