
26/06/2015
Il Presidente della Repubblica francese François Hollande pochi mesi fa ha introdotto il tema della riforma territoriale in Francia : “Riformare i territori per riformare la Francia”. La proposta intende ridurre le regioni da 22 a 14, aumentare il bacino dell’intercomunalità e sopprimere i consigli dipartimentali (le provincie) dal 2020. Hollande – socialista – ritiene che l’organizzazione territoriale francese sia invecchiata e gli strati si sono accumulati. E’ giunto il momento di semplificare e chiarire a tutti di sapere chi decide, chi finanzia e con quali risorse. Ed è giunto il momento di fornire una migliore qualità del servizio e ridurre la pressione fiscale del contribuente garantendo nello stesso tempo la solidarietà finanziaria tra le comunità in base al loro livello di ricchezza perché dobbiamo dare risposta alle preoccupazioni dei cittadini che vivono lontano dai centri più dinamici e temono di essere abbandonati dallo Stato nelle zone più rurali. Per l’intercomunalità, è un processo di integrazione che deve continuare a crescere. Quindi, sostiene Hollande, le associazioni di comuni cambieranno le dimensioni: ognuna avrà almeno 20.000 abitanti, dall’ 1 gennaio 2017, contro i 5.000 di oggi.
In Italia in questi anni si è lavorato per tentare di semplificare l’assetto territoriale. Il Decreto Legislativo 267/2000 indica le modalità di procedere a fusioni tra comuni o di dare vita a forme associate per gestire i servizi per i cittadini per renderli più efficaci e meno costosi.
Un complicato percorso riformatore in atto dovrebbe portare al superamento del Senato elettivo e l’abolizione definitiva delle provincie. Si tratta di una riforma costituzionale che deve seguire le procedure previste dall’art. 138 che porterà a una decisa semplificazione nella formazione delle leggi in quanto sarà solamente la Camera dei Deputati a vararle.
Un tema che dobbiamo riprendere dal discorso che Hollande ha fatto alla Francia, è quello di garantire la solidarietà territoriale tra i centri più dinamici e le zone più deboli, quelle rurali e montane. In cambio è opportuno che processi di fusione tra piccoli/medi comuni con una massa critica di residenti adeguata si concreti. Purtroppo la debolezza politica del Parlamento, l’instabilità dei governi e la confusione che regna in molte regioni, cui è conferita la competenza per le fusioni dei comuni , non hanno consentito al nostro paese di fare un discorso serio e chiaro circa la doverosa necessità di superare molti “strati che si sono accumulati”.
L’Emilia-Romagna ha varato la LR 21/2012 che ha introdotto il tema delle fusioni, incentivate (e preferite), le unioni di comuni e le convenzioni tra comuni (non preferite). Dall’entrata in vigore della legge regionale le fusioni tra comuni si contano nelle dita di una mano. Nel parmense c’è un esempio concreto: SissaTrecasali. Troppo poco. Evidentemente la spinta riformatrice introdotta con la legge regionale non si è ancora fatta sentire, nonostante le fusioni possano contare per molti anni su contributi e incentivi regionali e statali consentendo agli amministratori di poter disporre di risorse per abbassare le tasse e migliorare i servizi alle persone.
I campanilismi locali non sono sufficienti per giustificare la situazione contingente. Prendo a prestito le efficaci parole del Sindaco di Noceto Fecci: “Va spiegato ai cittadini che con le fusioni non si perdono identità e tradizioni del proprio paese ma ci si unisce con altri per gestire i servizi con più qualità, professionalità e minori costi”.
La bandiera della riforma degli assetti territoriali deve essere ripresa in mano da chi crede che il cambiamento sia possibile. Cambiare verso, direbbe il Premier Renzi. Il Partito Democratico governa molti comuni nel parmense e nell’intera regione, oltre alla regione stessa, e con la definitiva abolizione delle provincie la questione del governo solidale del territorio si pone sul serio. E’ il momento, quindi , di ridisegnare il sistema di governo locale puntando alle fusioni tra comuni senza lasciare questo compito al solo spontaneismo dei sindaci i quali sono sempre più alle prese con le enormi difficoltà a far tornare i conti dei propri bilanci. Vi è la necessità inoltre di una nuova legge elettorale per garantire una rappresentanza omogenea e adeguata nelle assemblee elettive ai comuni che si fondono. Il rischio che unire piccoli comuni con grandi comuni lasci i primi privi di rappresentanti nei consigli è reale, per il semplice fatto che il bacino di elettori è assai differente.
Le scelte politiche più lungimiranti traguardano ben oltre la durata di uno o due mandati di un primo cittadino, e sanno interpretare le esigenze di una popolazione che chiede servizi migliori. Sono maturi i tempi per un comune unico nell’alta Val Taro con la fusione di Albareto, Compiano,Tornolo, Bedonia e Borgo Val di Taro, per le fusioni di Sorbolo e Mezzani, Colorno e Torrile, Polesine e Zibello e, la vera novità, Fidenza con Salsomaggiore Terme. Fusione, quest’ultima, che imprimerebbe il segno di un vero cambiamento di verso!
La Politica se c’è, batta un bel colpo.
Massimo Pinardi