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21/09/2010
h.16.10
Prosegue su ParmaDaily il dibattito sul mondo cooperativo.
Dopo aver intervistato il presidente di Presidente di Proges-Gesin Antonio Costantino (clicca qui), a cui ha replicato l’esponente del PRC di Parma Fernando De Marco (clicca qui), aver raccolto l’opinione di Ildo Cigarini (clicca qui), presidente della potente Legacoop di Reggio Emilia, ParmaDaily ospita la risposta del cooperatore Alberto Padovani a De Marco.
Vorrei rispondere, da cooperatore, all’interessante intervento di Fernando De Marco (PRC), sulla cooperazione.
La tesi secondo cui “il meglio la cooperazione lo ha dato quando stava al fianco delle lotte, non oggi” è senz’altro storicamente suggestiva e rende onore ad un movimento, quello cooperativo, che ha una storia tanto importante quanto ancora poco conosciuta.
Allo stesso modo, concordo nella denuncia delle logiche al massimo ribasso, che purtroppo caratterizzano ancora troppi appalti e troppi settori nevralgici, che dovrebbero avere come primo obiettivo quello di fornire servizi di qualità, in quanto essenziali, come lo sono quelli educativi e di assistenza (ma nondimeno quello edile e delle infrastrutture, per intenderci).
Chiaramente, in un periodo dove il “patto di stabilità” sta svenando all’inverosimile gli enti locali, insieme alla bugia del federalismo – in realtà contraddetto dai tagli sempre più pesanti agli enti locali, secondo uno scandalo di cui dovrebbe vergognarsi la Lega Nord in primis – risulta molto difficile nel concreto garantire l’uscita dalla logica del massimo ribasso, che molti amministratori locali vorrebbero sicuramente intraprendere.
Detto questo, vengo al nocciolo: dividere impresa e cooperazione significa proprio operare una dissociazione alla base (buona) della storia del movimento cooperativo.
Non capisco quale suono diabolico debba contenere la parola “impresa”, per essere così interpretata da De Marco: significa tirarsi su le maniche, lavorare per guadagnarsi da vivere, cercando di ottenere benessere per sé e per gli altri… Qualcosa che ritengo, oltre che necessario ad ogni cittadino virtuoso, anche molto di sinistra, nella migliore accezione del termine.
Alla base della logica cooperativa ci sta proprio questo semplice concetto: “uno per tutti, tutti per uno”. Il tuo benessere rafforza e non danneggia quello altrui e viceversa.
Detto in termini più precisi: la mutualità, ovvero, in senso cooperativo, la ricerca delle migliori condizioni lavorative per sé e gli altri.
Una mutualità che viene giocata all’interno del sistema dato, in questo caso un sistema di mercato. In quale altro sistema reale, d’altra parte, potrebbe collocarsi oggi?
Il che significa che il gioco è duro, soprattutto per cooperative che vogliono affermare, pur con difficoltà e in un quadro perfettibile, i migliori principi della cooperazione.
Lo dico senza enfasi, ma da Socio che ci lavora dal 1995: Pro.Ges. è tra queste.
I principi fondamentali sono, almeno dal mio punto di vista, la mutualità (come già detto e spiegato), la democrazia interna (per cui il Presidente è espressione dell’Assemblea dei Soci, dove ogni testa ha un voto), il metodo collaborativo non verticistico, che molto si rifà anche storicamente ad una concezione emiliana di lavoro, dove tra i diversi livelli c’è una cordata per ottenere risultati eccellenti, o quantomeno buoni.
Voglio fare l’esempio emiliano della Ferrari (lo so che non è una coop), per farmi capire da tutti.
Certamente, anticipo eventuali critiche in merito: non tutte le cooperative mettono in pratica questi principi.
Esistono un sacco di cooperative fantoccio, che in realtà nascondono imprese padronali.
E’ giusto, sacrosanto, denunciare questo.
Queste finte cooperative in realtà danneggiano, oltre ai lavoratori sfruttati, l’immagine e la sostanza dell’intero movimento cooperativo.
Aggiungo infine che, in un quadro drammatico, che è il mondo del lavoro oggi in Italia, la cooperazione è spesso l’unico luogo in cui permane il termine “assunzione”. Il che non giustifica in alcun modo nessun tipo di sfruttamento, certo.
Ma pensiamo un attimo, da qualsiasi punto di vista la vediamo: se non ci fossero le cooperative, dove andrebbero a lavorare quei giovani che non sanno dove sbattere la testa, quelle donne che rappresentano l’ossatura delle cooperative, tutti quei nuovi cittadini extracomunitari?
Come vede, caro De Marco, categorie cosiddette “deboli”, che il vostro partito, ma direi ogni partito con una visione equa della società, dovrebbe preoccuparsi di tutelare e promuovere.
Questa sì che è una vera “impresa cooperativa”.
Alberto Padovani