† Il Vangelo di Pietro, l’unico che descrive com’è avvenuta la resurrezione di Gesù (di Andrea Marsiletti)

SMA MODENA
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TeoDaily – In nessun Vangelo canonico è descritta la resurrezione di Gesù.

Nessuno ha visto cosa è accaduto dentro il Santo Sepolcro, nessun ha scattato una foto o fatto un selfie.

Maria Maddalena è stata la prima a incontrare il Risorto nelle sue sembianze umane glorificate (lo scambia per il giardiniere), ma neppure lei ha assistito al momento della resurrezione in sè.

Anche i Vangeli apocrifi rinunciano a descrivere la resurrezione.

Nessuno… a parte uno: il Vangelo di Pietro, o quantomeno scritto nel suo nome.

Si legge: “I soldati… videro aprirsi i cieli e due uomini scenderne vestiti di grande splendore e avvicinarsi al sepolcro. La pietra che era stata addossata alla porta, rotolando via da sé, si scostò da una parte e il sepolcro si aprì ed entrambi i giovani vi entrarono. Come videro ciò, i soldati destarono il centurione e gli anziani, poiché anche questi stavano là di guardia. E mentre spiegavano loro quanto avevano visto, di nuovo vedono tre uomini uscire dal sepolcro, e i due sorreggevano l’altro e una croce li seguiva; e la testa dei primi due si spingeva fin al cielo, mentre quella di colui che conducevano per mano sorpassava i cieli.” (VgPt 35-40).

Che dire? L’autore racconta una resurrezione grandiosa, molto scenica. Questi scrive in prima persona in due occasioni: una volta senza identificarsi (“Io e i miei compagni”) e un’altra volta dichiarandosi esplicitamente come il discepolo Pietro (“Io, Simon Pietro, e Andrea, mio fratello”).

Che sia o meno l’apostolo Pietro a scrivere non toglie che il Vangelo di Pietro sia un testo molto importante, antichissimo, risalente alla prima metà del II secolo, subito dopo i quattro canonici. La prima citazione giunta fino a noi è del III secolo dello scrittore ecclesiastico Origene. Poi è Eusebio di Cesarea a menzionarlo come uno scritto non accettato dalla Chiesa, riportando la decisione del Vescovo di Antiochia Serapione che nel II secolo proibì la sua lettura molto diffusa tra gli eretici cristiani doceti.

Docetismo è un termine che deriva dal greco “dokeo” (“sembrare”). I doceti negavano la natura umana di Gesù e credevano che egli fosse solo in apparenza un uomo in carne e ossa perchè in realtà la sua natura era solo divina. Altri doceti, più vicini allo gnosticismo, erano invece convinti che Gesù fosse stato temporaneamente un uomo in carne e ossa, e che il Cristo divino aveva abbandonato il Gesù umano appena prima della sua morte.

Alcuni passaggi del Vangelo di Pietro sono stati ritenuti la conferma della natura docetista del testo, così come sostenuto nei secoli da vari Padri della Chiesa. E’ scritto che Gesù sulla croce “taceva come se non avesse dolore”; poi il suo grido “Mia potenza, o potenza, mi hai abbandonato” sembra richiamare il Cristo divino che lascia il corpo dell’uomo Gesù; e infine l’affermazione che sulla croce “fu assunto” pare riferirsi al suo spirito, non al corpo fisico.

Un reperto archeologico datato VI-VII  ribadisce l’autorevolezza del Vangelo di Pietro che continuò a essere letto nei secoli successivi: è raffigurato un uomo barbuto che prega e regge una croce con sopra la scritta in greco “San Pietro Evangelista“, mentre sul retro è inciso “Veneriamolo, riceviamo il suo Vangelo“.

Il Vangelo di Pietro è un testo fortemente anti-giudaico. Non fu il governatore Ponzio Pilato a ordinare la condanna a morte di Gesù ma il Re Erode Antipa. I romani vengono del tutto scagionati dalla responsabilità dell’esecuzione di Gesù, attribuita in via esclusiva agli ebrei.

Nel finale mi permetto qualche interpretazione teologica personale, in riferimento alla ricostruzione della resurrezione che, come detto, si realizza con l’uscita dal sepolcro di due giovani e del Risorto seguiti da una croce.

Se il Vangelo è docetista perchè al momento culmine della resurrezione tanta importanza alla croce sulla quale sarebbe stato appeso a un palo un semplice “uomo”, e non il figlio di Dio?

Allo stesso modo, se fosse un Vangelo docetista con influenze gnostiche perchè tanta enfasi sulla croce quando nei Vangeli gnostici essa non ha alcun significato perchè è la conoscenza che salva l’uomo, non il sacrificio di Gesù? Nel Vangelo di Tommaso, ad esempio, non c’è il minimo accenno alla passione di Gesù (meno che meno alla crocifissione o resurrezione), ma solo ai suoi insegnamenti.

Per non parlare del gnosticissimo “Secondo trattato del grande Set” (II secolo) che vuole rivelare la “vera” storia del Cristo narrata da questi in prima persona. Gesù sarebbe fuggito alla sua esecuzione perchè, proprio mentre Simone di Cirene lo stava aiutando a portare la croce, tra loro ci fu uno scambio di persone (“Era un altro che ha bevuto la bile ed l’aceto; non ero io. Chi fu percosso con la canna, era un altro, Simone, colui che portò la croce sulle sue spalle. Era un altro colui cui hanno messo la corona di spine”). A morire in croce è quindi quel poveraccio di Simone, mentre Gesù è descritto in piedi a guardare la scena “ridendo della loro ignoranza” perchè i romani e gli ebrei non avevano capito cos’era successo e si illudevano di averlo messo in croce.

Siamo alla negazione della morte e della resurrezione di Cristo.

La versione di Gesù che sopravvive venne ripresa secoli dopo dall’Islam per il quale non è ammissibile la crocifissione di un suo profeta.

Per tante teologie e cristologie del cristianesimo primitivo, e sicuramente per i docetisti e gli gnostici, la croce non aveva nessun valore, quando non era un bluff.

Quindi ci andrei con i piedi di piombo nel definire il Vangelo di Pietro docetista.

Andrea Marsiletti