Ultima chiamata per la difesa dell’Appennino

29/04/2013
h.17.20

La gravissima emergenza sull’ Appennino non si placa col trascorrere del tempo, la stima dei danni provocati dal dissesto idrogeologico aumenta di ora in ora non regalando ottimismi a una terra isolata che paga duramente le conseguenze delle abbondanti piogge e di una mancata prevenzione.
Molti centri abitati ripiombano oggi nell’incubo, la frana più grande d’Europa da 20 milioni di metri cubi è in continuo movimento e la tenuta sociale, oltre che a quella del terreno, è messa a dura prova dalla mancanza di massima attenzione da parte delle istituzioni chiamate a dare risposte concrete nel breve e soprattutto a decretare lo stato di emergenza.
La paura più grande però è che nel caso fosse anche concesso lo stato di calamità non si riesca in tempo utile a porre un freno all’avanzare del pericolo. In questi ultimi giorni i Comuni, insieme al Consorzio di Bonifica Parmense e alla Provincia, hanno cercato di arginare l’incessante movimento franoso con tutti i loro mezzi, pur sempre limitati se comparati alla grandezza del fenomeno in atto. Il peggioramento del dissesto idrogeologico, diventato troppo esteso, travalica progressivamente anche le competenze di questi enti rischiando di portar via con sé anche parte dei lavori fatti per la messa in sicurezza.
E’ in questi momenti purtroppo che i gravi disagi delle popolazioni locali, delle aziende agricole e di tutte le categorie produttive coinvolte della nostra Montagna emergono mostrando inevitabilmente il nervo scoperto di una terra troppo vulnerabile, pericolosamente messa a rischio da una attenzione ed un monitoraggio ad intermittenza. Quella di Tizzano è soltanto una, anche se la più ampia, delle 70mila frane censite in Regione.
Nella recente proposta presentata da ANBI e Consorzi di Bonifica regionali il fabbisogno emiliano romagnolo di fondi per garantire la difesa del suolo ammonta a 863milioni di euro; una cifra precisa perchè altrettanto preciso è il ruolo che questi enti, insieme alle sinergie dirette con i comuni, svolgono in ogni presidio montano laddove il territorio manifesta anticipatamente i primi segni di cedimento. Oggi come oggi il grido di dolore dei territori colpiti suona come un’ultima chiamata per la difesa di un Appennino che seriamente rischia di essere abbandonato.
L’investimento in prevenzione per la tutela del territorio va inquadrato nell’indispensabile revisione della spesa pubblica perché si è dimostrato che riparare ai danni post-emergenza costa ben 5 volte di più che prevenirli, senza contare il tributo di vite umane e conseguenze sociali gravissime.

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