Egemonia culturale, Renzo Rossolini: “Il PCI voleva educare la società, la DC rappresentarla”

SMA MODENA

Renzo Rossolini, avvocato ed esponente politico della Democrazia Cristiana, è stato relatore al webinar “Egemonia culturale: gli intellettuali di Antonio Gramsci ai tempi degli influencer” insieme a Sergio Manghi, Massimo RutiglianoMichele Guerra, l’influencer Ilaria Milite e Andrea Massari. Al dibattito hanno contribuito anche Priamo Bocchi e Tommaso Fiazza.

Renzo Rossolini ha fatto un intervento sul tema “L’egemonia culturale al tempo dei partiti” di cui si riportano ampi stralci:

“La mia vuole essere la testimonianza di un’attività, quella fantasma dei partiti, che ho svolto negli anni ’70 e ’80 tra le fila della Democrazia Cristiana e come capogruppo in Consiglio comunale nel periodo in cui, per la prima volta dal dopoguerra a seguito del risultato delle elezioni amministrative del 1985, il PCI di Parma andò all’opposizione.

La mia accezione del termine “cultura” è vasta, assume un senso antropologico, di modi di pensare, di idee, frasi e linguaggi che influenzano la vita di una collettività.

Quando si parlava di egemonia culturale ci si riferiva al Partito Comunista, certo.

In quale accezione poteva intendersi raggiunta questa egemonia?

Se l’egemonia riguardava innanzitutto la società civile per poi estendersi alla comunità politica, beh devo dire che nella mia esperienza un’egemonia comunista e della sinistra nella società civile non ci fu affatto. Entrai per la prima volta nel dibattito pubblico nell’ambito dei partigiani cristiani. All’epoca c’erano tanti circoli, movimenti e attività culturali che non erano monopolizzate dalla sinistra o dal PCI.

Il contesto cambia, e qui forse si innesta la dizione “egemonia culturale”, se si guarda all’operato dei partiti di massa di allora e al loro radicamento sul territorio. Ecco, in questo ambito il PCI si distingueva. Premesso che tutti i partiti praticavano un’attività culturale (anche il MSI soprattutto dentro le Università), limitandosi alla DC e al PCI, entrambi erano molto attivi nell’informazione e nell’alfabetizzazione culturale. Se pensiamo alla stampa, ricordo che in Borgo delle Colonne c’era una bacheca che periodicamente ospitava le pagine aggiornate dell’Unità o di altri giornali del PCI. E poi c’erano gli attivisti… alla domenica non era raro imbattersi in persone che sacrificavano il proprio tempo libero per andare a distribuire l’Unità (la DC aveva i giornali “Il Popolo” e “La Discussione”).

Oltre all’attività di base c’era quella formativa che per il PCI praticava principalmente con le sue case editrici storiche (la DC utilizzava la Spes e le Cinque Lune). Nella feste di partito c’erano gli stand culturali nei quali ci si riforniva di materiali, affinchè l’iscritto potesse attingere la posizione del partito sui vari temi.

Quello che differenziava molto PCI e DC era il rapporto partito-società: il PCI aveva un rapporto quasi educativo di un’elaborazione culturale che doveva essere trasmessa alla società; la DC, per diversa formazione ideale, si proponeva di fare propri e rappresentare gli interessi della società.

La formazione era una specifica attività di tutti i partiti, in particolare nei confronti dei giovani.

C’era un cursus, si arrivava all’attività pubblica dopo aver svolto quella all’interno delle sezioni di partito. Oggi, fatte le debite eccezione, il personale politico sembra un pò improvvisato. Vedendo alcuni personaggi che ricoprono importanti cariche a livello nazionale, al tempo dei partiti questi avrebbero stentato a diventare segretari dell’ultima sezione della nostra provincia. Al più sarebbero andati bene per intrattenere qualche avventore nei bar…” AM