Ma vaffanzum…

confartigianatomaggio
Contabile_giugno24

30/12/2009

Godetevi il vero spirito goliardico in questa famosa scena tratta da “Amici miei atto II” di Mario Monicelli. Il Coro dei Cinque Madrigalisti Moderni riesce in pochi secondi a scandalizzare l’intera platea.

Amici miei atto II è un film italiano del 1982 diretto da Mario Monicelli. A distanza di 7 anni, Mario Monicelli firma il secondo episodio del film che vede ancora protagonisti i cinque amici fiorentini amanti dello scherzo e della goliardia, dopo Amici miei. Il film segna la fine di un’epoca, quella del genere a cui appartiene, la commedia all’italiana, del quale il regista è stato uno dei maestri indiscussi.
L’amarezza e la malinconia che avevano già segnato il primo brillante episodio diventano nel secondo una vera e propria vena pessimistica che attraversa in controluce tutto il film.
Il rimpianto anima gli attori sulla scena e la conclusione della vicenda non può che essere triste al pari del film che l’aveva preceduto. Il tentativo di dare un seguito ai successi di incassi che nel 1975 accolse il primo episodio è perfettamente riuscito; le trovate umoristiche sono esilaranti e presto diventeranno un cult del genere comico nazionale.
Ma è la commedia che vive la sua crisi conclusiva, una crisi fatta anche di interpreti. 
Lo spirito goliardico contagia anche i titoli di testa, dove il nome di Philippe Noiret è contornato da un rettangolo in stile annuncio funebre. Infatti la morte di Perozzi che chiudeva il primo episodio viene “risolta” nel secondo film con un abile espediente narrativo, che muove avanti e indietro nel tempo i nostri cinque amici con un dosato ricorso al flashback.
Tutti i temi guida del primo atto (la frustrazione erotica di Melandri, la gelosia di Necchi, i problemi familiari di Perozzi, la noia di Sassaroli e la aristocratica decadenza del conte Mascetti) vengono ripresi e sviluppati nel secondo atto. Renzo Montagnani interpreta Necchi, mentre Paolo Stoppa, nei panni di un ostinato usuraio fiorentino, regala una delle sue ultime apparizioni cinematografiche.
Il tempo scorre velocemente, vecchi rancori e antiche incomprensioni mai sopite scavano con l’età nuove solitudini. Il conte Mascetti non sopporta lo scherno e il dileggio dei suoi tre amici e viene colto da un ictus che lo condannerà all’infermità per il resto dei suoi giorni.
Il film si conclude con l’immagine tristissima di un conte impotente e paraplegico affidato alle insopportabili attenzioni familiari e alle cure sarcastiche dei suoi compagni di zingarate.
Va notato un messaggio finale del film (frainteso molto spesso), un messaggio che dà al sentimento dell’amicizia un alto significato simbolico.
I tre amici portano il conte Mascetti ai campionati di atletica per paraplegici: il conte Mascetti corre in carrozzina ed è ultimo nella competizione: Necchi, Melandri e Sassaroli lo incitano dalle gradinate a gran voce, gridandogli che l’importante è partecipare, e commuovendosi fino alle lacrime vedendo l’amico ridotto così male nel fisico e depresso nello spirito, e proprio per questo non gli fanno mancare tutto il loro amore fraterno, il supporto morale e materiale.
In realtà non è solo questo, la chiave corretta per interpretare quest’ultimo stralcio di pellicola è proprio nella definizione della commedia all’italiana. Infatti si nota che il Mascetti si è iscritto alla gara come rappresentante del Pisa e che sta perdendo la gara ‘di proposito’ per far figurare i Pisani ultimi in classifica; si tratta, quindi, dell’ennesima zingarata.
Ricordiamo che i protagonisti vivono a Firenze, e non corrono buoni rapporti tra le due città. Negli attimi finali del film, quel sorriso traverso, strappato ad un uomo che credeva di essere ormai abbracciato dalle offese dell’età e della tragedia che l’aveva costretto all’inabilità, e quegli amici che dimostrano quanto il loro legame sia profondo, continuando ad includere lo sfortunato Mascetti nelle loro trovate e ‘zingarate’, concludono l’ultima burla di questo capolavoro.
Lo spirito goliardico che sbeffeggia la morte, la tristezza, l’angoscia di vivere e (in questo caso) l’handicap fisico rimane ben scolpito nel cuore del gruppo, inossidabile a tutte le disavventure e al passar inesorabile del tempo.

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