
Il Ministro della Cultura cerca un Dante causa per l’obiettivo della destra meloniana: diventare egemonica nel Paese, non solo a livello governativo.
Obiettivo legittimo? Certamente, se letto in una dinamica di competizione politica democratica. Ogni forza politica cerca di rendere egemonico il proprio pensiero e la propria azione, altrimenti staremmo parlando di burraco domenicale.
Forse l’unica forza politica attualmente in confusione anche su questo concetto è il PD. Spero che l’imminente congresso restituisca al contesto politico nazionale (e non solo) un partito che abbia in testa il governo del Paese e l’incidenza delle idee, dei progetti, dei valori rappresentati e delle categorie rappresentate nella vita quotidiana dello stesso. Un PD di nuovo competitivo è necessario, a prescindere da come la si pensi, alla stessa dialettica democratica. Ma torniamo al punto iniziale di questo intervento.
L’egemonia culturale, che oggi, nonostante il trend discendente, rimane ancora leggermente spostata su un “centrosinistra” sempre meno identitario e decisivo, ma che sicuramente non è appannaggio della destra meloniana, ancora colpevole di aggrapparsi a quotidiani di scarsa credibilità (i vari Libero, Verità, etc.) e a seriali provocatori prezzolati alla Sgarbi.
Serve quindi, e la Meloni mi pare lo abbia molto presente, un salto di qualità, non solo a livello governativo. Anche perché il governo oggi è suo, domani anche, ma dopodomani chissà (chi metterebbe la mano sul fuoco sulla durata di 5 anni della Meloni come Premier? Credo nemmeno lei, in fondo la mano le servirà anche dopo).
Ecco quindi che arriva il Ministro Sangiuliano – uno dei più mediaticamente preparati, non ci vuole molto, della compagine – che alterna proposte intelligenti (vedi Villa Verdi ad es.) a sparate sopra le righe, come la poco intelligente “Dante è di destra”… anzi, addirittura è “il fondatore della destra italiana”.
Con buona pace di D’Annunzio, peraltro, relegato a nume tutelare di eventi estivi trendy al suo Vittoriale.
Non occorre però farsi ingannare: l’alzare i toni è un elemento costante della politica contemporanea. La provocazione sembra quindi studiata a spronare la “destra di lotta e di governo” a trovare un proprio pantheon di riferimento.
Quindi Dante, “ma anche” D’Annunzio, “ma anche” Veneziani (“Veneziani chi?” s’ode a destra, direbbe il Sommo, sbeffeggiando tutta l’operazione pagliacciata e dedicando al Sangiuliano un posticino nel girone degli influencer non graditi).
Mutatis mutandis – soprattutto nello stile – l’operazione è molto romana, e non dissimile nel fine, rispetto a quanto ha cercato di fare, con risultati a mio parare molto migliori di questi, il Veltroni Ministro alla Cultura del primo governo Prodi.
La cultura da sempre è uno dei volani preferenziali per raggiungere un certo grado di “egemonia”, che non per niente spesso si accompagna alla declinazione “culturale”.
Obiettivo centrato dunque quello di Sangiuliano?
Credo onestamente di no, innanzitutto perché è andato a toccare un archetipo irriducibile della cultura italiana: Dante Alighieri.
A nessuno, nemmeno a sinistra, è mai riuscita l’appropriazione della sua opera. Capirai se può riuscire alla destra urlatrice… Quella che si deve ancora ripulire dal novaxismo, dalle cattive frequentazioni internazionali, dai titoli razzisti dei quotidiani di riferimento… Quella che si deve ancora ripigliare dal complesso di inferiorità subito per decenni di esclusione dal “compromesso storico” de facto, soprattutto in campo culturale e mediatico.
Devono mangiarne di crostini in tal senso, anche perché si entra in un campo dove “l’accademia” ha ancora un ruolo rilevante.
Però occorre non sottovalutare l’azione di questo governo, il primo che porta un chiaro imprimatur postfascista: la testa è alta, il braccio destro tenuto stretto al corpo, per evitare che si alzi in pubblico… sembra di vedere Farinata degli Uberti, ritto nella sua fierezza… ma resta ancora quel sentore del “gran dispitto”, quel suo sguardo sprezzante, che rende la destra più radicale sospetta all’opinione pubblica.
Specularmente a quanto lo fu il PCI negli anni in cui conquistò il potere nelle regioni rosse. Ma che non arrivò al governo, se non dopo la sua trasformazione in postcom.
Eh già… la sinistra? Può cantar vittoria? Sentirsi soddisfatta per riuscire a limitare questo assalto immaturo alla fortezza dell’egemonia culturale?
Per niente… come cantano i Baustelle, “la sinistra che non c’è” ha perso talmente tanto terreno in questi anni, che la sponda residua di consenso culturale si sta erodendo irrimediabilmente, soprattutto per un motivo: la sinistra italiana guarda costantemente verso il passato e verso i suoi miti ormai logori. Una sinistra che sceglie spesso l’Aventino alla difficile dialettica, e che rinuncia alla stessa basilare ricerca di consenso… Aventino peraltro che fa rima con Pariolino. Tutte condizioni che, oltre a rendere incerto il suo presente politico e culturale, rendono impensabile un futuro con un grado sufficiente di egemonia, e innanzitutto, di necessario e fertile collegamento con il “Paese reale”. Precondizione che Gramsci considerò indispensabile, sintetizzata nella figura dell’intellettuale organico.
Oggi l’intellettuale di sinistra medio, di organico ha il sacchetto che conferisce alla differenziata… sempre che non lo faccia l’inserviente bengalese.
Alberto Padovani