L’omelia di Sant’Ilario di don Michele Guerra (di Andrea Marsiletti)

Dopo le imperdibili barzellette in dialetto che dovrebbero esprimere “l’autenticità della parmigianità”, il tenerissimo coro dei bambini, la sfilata lungo il corridoio del Regio della nomenclatura della città, la retorica auto-referenziale sentita e risentita fino allo sfinimento, la celebrazione di Sant’Ilario entra nel suo momento clou: il sindaco di Parma sale sul palco del Teatro Regio a braccetto col Vescovo.

Mons. Enrico Solmi cita una sua esperienza personale in cui, nell’anno del suo arrivo a Parma, vestito da laico in giacca e cravatta, partecipò in incognito alla celebrazione di Sant’Ilario per meglio comprendere l’essenza della città.

Quindi prende la parola Guerra.

Si fa fatica a distinguere chi tra i due sia il laico o il religioso, l’amministratore o il predicatore.

E’ Guerra che indossa l’abito talare.

Essere utili a chi ci sta vicino e venirne ricompensati oltre ogni aspettativa e senza chiederlo” rivela Guerra. E’ l’amore verso il prossimo che Gesù chiede a ciascuno di noi, disinteressato, che non si aspetta nulla in cambio, che non pretende ricompense in questo mondo perchè la vera ricompensa si otterrà nel Regno dei Cielo, e non dagli elettori tra cinque anni, ma da Dio alla fine dei tempi.


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E’ Sant’Ilario a dettare le parole d’ordine del discorso di Guerra: l’umiltà della “gratitudine” dell’amministratore verso chi è amministrato, l’amorevole “protezione” del pastore per il suo gregge: “Mi soffermo su due valori fondamentali che la storia di Sant’Ilario di Poitiers ci consegna: la gratitudine e la protezione. La gratitudine, rara e difficile, ha a che fare con ciò che dà gioia, a chi la riconosce e a chi la riceve. La protezione, prima ancora che con il difendere, ha a che vedere con l’aver cura.

Dopo il messaggio cattolico, inteso nel suo significato etimologico di “universale” (“la capacità di dare dignità a chi va e a chi viene, di armonizzare la nostra storia e le storie degli altri“), il sindaco apre le porte del Cielo ai peccatori, ad alcuni stakeholder della città con cui si è scontrato in questi primi mesi e ai quali accorda il suo perdono: “Ho molto apprezzato l’intenzione di parti importanti della città, a vario livello e titolo, a voler contribuire a gettare le basi per la città dei prossimi decenni. Assumiamo impegni comuni, la nostra porta è aperta. Prendersi cura di una comunità non può prescindere dalla ricerca di una possibile omogeneità di intenti costruita su queste basi.



Poi arriva la scena della Domenica delle Palme, nella quale Guerra si rivolge alla minoranza consiliare che fregia con un ramo d’ulivo, nel Vangelo notoriamente simbolo della pace, citando parole evangeliche quali “educazione”, germoglio”, “anima”: “Serve una nuova politica dell’educazione che passa per forza di cose per le donne e gli uomini che ricoprono ruoli istituzionali. Mi sento di poter dire che di questo genere di politica sia già visibile il germoglio nelle sale dove vive e si anima il confronto tra le parti e per questo voglio ringraziare il Consiglio comunale“.

Siamo lontani anni luce dal discorso di commiato di Pizzarotti a Sant’Ilario quando egli ringraziò solo i consiglieri di maggioranza.

E’ la discontinuità tanto invocata da Lorenzo Lavagetto?

La cesura storica è che l’intervento del sindaco nella mattina del Santo Patrono non dovrà più essere chiamato “discorso di Sant’Ilario” ma “omelia di Sant’Ilario”.

Da ieri nella curia di Parma ci sono due don Guerra.

E’ stato ordinato anche don Michele, tra gli applausi del Teatro Regio.

Amen.

Andrea Marsiletti

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