
Caro direttore,
mi permetto di entrare nei ragionamenti e nei contributi che tu (leggi: Anatomia della fine del civismo a Parma – di Andrea Marsiletti) e l’amico Lorenzo Lasagna (leggi: Il Graal del civismo non è più nelle mani di nessuno, segno di una Parma che è cambiata – di Lorenzo Lasagna) avete portato relativamente al significato e alla presunta fine dell’esperienza civica nel nostro scenario politico.
Mi consentirai un po’ di cinismo nel ritenere la parola ‘civico’ bistrattata, banalizzata e talvolta strumentalizzata in una sorta di gioco a nascondino per mascherare appartenenze scomode e per vestirsi in questo modo di una presunta verginità politica. Dimenticando quello che è il suo significato primo e antico, legato al bene comune. Abusando di questa formuletta, come spesso accade, senza accompagnarla con un sistema valoriale che io individuo nel post ideologismo – quella corrente di pensiero cioè che opera fuori dagli schemi politici e racchiude in sé sia princìpi di destra che di sinistra – il castello crolla. E crolla non perché, rifacendomi alle posizioni hegeliane espresse da Lorenzo, i partiti hanno ripreso la forza della scena (non lo penso altrimenti non avremmo astensioni record a ogni tornata elettorale), ma perché il concetto di civismo si svuota di senso avendo con sé la pretesa di contenere tutto e il contrario di tutto, in una sorta di linea di demarcazione al di là della quale si trova il male. Diventando così una valida soluzione alla quale taluni politici improvvisati si aggrappano di fronte alla carenza di idee, colmando il proprio vuoto programmatico.
Ovvio che poi il civismo fasullo non viene percepito dall’elettore come un valore aggiunto, come un cardine del bene comune di fronte al potere usurpatore, bensì come una foglia di fico indossata a fronte della decadenza e dell’impotenza del messaggio politico. Non più un’alternativa alla politica ria e cattiva, pervasa dagli interessi di parte e a cui il civismo contrapponeva l’interesse dei più, ma illusoria parolina utilizzata come arma di distrazione di massa.
Le uova di Pasqua di cioccolato, l’unico peccato di Maria Maddalena (di Andrea Marsiletti)
Ma c’è un secondo tema che prescinde dalla qualità politica dei protagonisti propulsori del civismo e che fonda secondo me le radici in una società che è profondamente cambiata nell’ultimo decennio e che si rivela non più gelosa del proprio particulare di guicciardiniana memoria. Mi riferisco a quello che Lorenzo chiama protagonismo orgoglioso.
C’è piuttosto, oggi, la consapevolezza di vivere all’interno di un sistema ampio preferendo, alla competitività fra territori, logiche di appartenenza altre che permettano di rifugiarsi all’interno di una sorta di ombrello protettore. La fiera e l’alleanza con Milano ne può essere un chiaro esempio. Nell’idea che solo in questo modo, trovando cioè sinergie con realtà più strutturate, sia possibile evitare una marginalizzazione che porterebbe inevitabilmente a un sistematico declino.
E allora io giungo a una conclusione più ottimistica o forse realistica del civismo. Tu, direttore, parli di morte, Lorenzo invece cita una ‘diaspora dell’esperienza politica’ che continuerà a condizionare la scena anche nei prossimi anni proseguendo in altre forme, io invece mi auguro un’evoluzione politica condizionata dall’insegnamento del civismo, nel sacrificare il proprio benessere per l’utilità comune.
Riportando all’attualità la tanto auspicata responsabilità di Governo, quella che talvolta fa prendere decisioni apparentemente impopolari ma che poi portano frutti apprezzabili nel medio e lungo periodo. È questa la sfida futura e l’insegnamento che ci può lasciare il civismo, rispondendo al grande disagio della politica moderna, spesso contraddistinta dalla debolezza del legame sociale e dall’irresponsabilità civica.
Alberto Monguidi