Le insidie del linguaggio e dei messaggi di Giorgia Meloni (di Luca Farinotti)

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Luca Farinotti

“Io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana”.

Giorgia Meloni detta Giorgia.

Chi decide di votarsi alla politica dovrebbe essere pronto a rinunciare a sé, in nome del servizio alla collettività, al sopraggiungere di una carica istituzionale nonché di governo. Questo lo insegnano gli antichi greci, cui è doveroso riferirsi, piccandoci di essere una democrazia.

Se poi ci confrontiamo con le antichissime civiltà dell’Asia, dove la firma dell’autore era omessa dalle grandi opere affinché la maternità dell’opera stessa rimanesse per sempre espressione dell’intera comunità, e non di un singolo individuo, si comprende facilmente come in quest’ultima frazione di storia si stia delineando una nuova deriva totalitarista.

Sì, perché, indietreggiando di soli trent’anni, s’incrocia una classe politica, quella di Mani Pulite, i cui interpreti rappresentavano ancora uno scodinzolante scampolo di evoluzione all’interno del percorso post- fascista: seppur attanagliati dal potere e immersi nella corruzione, serbavano in sé l’attitudine a servire interessi oltre se stessi, fossero questi mere ideologie o i propri partiti di militanza. Uomini disposti anche a sacrificarsi.

Persino il Berlusconismo, nel generare una polarizzazione, per quanto strumentale e fittizia, rivendicava una parvenza di vocazione: utilizzando un linguaggio d’avanguardia ma “convenzionale”, si rivolgeva a una classe specifica inducendola a credere che esistesse ancora il comunismo e fornendole un nemico da combattere (strategia peraltro mutuata dagli americani).

Nella deriva presente, la ricaduta grave prende forma nella riedizione di una dinamica caratterizzata dalla spudorata nonchalance con cui non si sente più il bisogno di inscenare un dibattito con un nemico “cattivo” sul quale far convergere lo spirito critico delle masse per avvalorare le proprie azioni: nel perseguimento plateale dei meri interessi personali ci si solleva dalle fatiche di un confronto dialettico lasciando libero sfogo alla voracità senza pudore suffragata dalla propria posizione politica.

Ma anche la corruzione sempre più impunita, che scorre copiosa nelle vene di chi governa, rimane almeno visibile agli occhi del cittadino che, infischiandosene, sceglie liberamente di essere parte del male e di piangere, in seguito, se stesso. Ciò che si sta pericolosamente profilando negli ultimissimi tempi, invece, è subdolamente celato nel linguaggio di chi, come Salvini prima e Giorgia poi, ha iniziato a vibrare in fase di autoreferenzialità assoluta, sfuggendo all’occhio del cittadino mentre trascende il proprio ruolo istituzionale. Chi dovrebbe neutralizzare questa frequenza si autodistrugge nell’imitazione, o nell’inettitudine, assimilandosi al trend.

Dunque: IO sono Giorgia.

Giorgia Meloni detta Giorgia si pone sulla lista come rievocazione del super individuo evoliano cui si ispirò il fascismo (Evola poneva però la coscienza alla base della rivelazione di un ordine gerarchico naturale). Giorgia non contempla un nemico o un contendente (al netto della drammatica inconsistenza della sinistra) ma adotta un linguaggio totalitarista, ponendosi come capo delle masse capace di interpretarne e racchiuderne il sentire.

 

† Dialogo tra Maria Maddalena e Andrea Marsiletti sul lungolago di Tiberiade

 

Questo processo di trascendenza del proprio ruolo istituzionale verso la sublimazione del sé ottiene l’effetto opposto nella massa, ovvero quello di agire senza troppe barriere come inibitore della singolarità, che Freud vede dissolversi a favore di un asservimento all’Ideale situato nella posizione di un oggetto di fascinazione collettiva. Attraverso il processo di ipnosi generato dal linguaggio del capo, ritorna l’autorità severa dello sguardo del padre descritto in Totem e tabù (in questo caso, una “madre”) che esercita sui suoi figli un potere illimitato.

Una madre primigenia che si manifesta nei suoi slogan urlati, capaci di risuonare nel ventre del popolo che, da soggetto si muta e si offre come oggetto. Con il minimo sforzo verbale, si genera la suggestione per cui il capo è al tempo stesso oggetto del desiderio e oggetto dell’identificazione. Il principio etico della responsabilità soggettiva viene trasceso in un’obbedienza masochistica che spoglia il soggetto di ogni libertà critica. Il capo non necessita dunque di azioni apertamente repressive, ma si limita a sfruttare l’inerzia generata dall’adesione acritica.

Il linguaggio e la postura di Madre Giorgia, intrisi di populismo da strapazzo, si insinuano e si ancorano a un sentire vuoto, bisognoso di appigli atti a giustificare la piattezza in cui la società è precipitata.

Esso aggancia le paure e i desideri inconsci dei singoli individui, strizzando l’occhio all’imperversante assenza di pensiero critico cui sono connessi, contenendo e incarnando infine in sé, fino a rimodellarlo in uno slogan -anzi in un nome, detta Giorgia – l’informe sentire collettivo. Il linguaggio è dannatamente attuale.

I canali di trasmissione sono invece antichi, e sono i medesimi utilizzati circa un centinaio di anni fa dai suoi antenati politici.

Luca Farinotti

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