Esce “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo”

Dalton Trumbo sbarcò dal Colorado a Los Angeles, cominciò come lettore per la Warner Bros e divenne, negli anni Quaranta, uno degli sceneggiatori più ricercati d’America. Lavorò per la Columbia, la MGM, la RKO ed era una presenza fissa nella scena sociale hollywoodiana. Era anche comunista, schierato con i sindacati e in favore dei diritti civili. Nel 1947, finì, come mezza Hollywood, di fronte al Comitato per le Attività Antiamericane, ma, a differenza della maggior parte dei colleghi, rifiutò di rispondere alle domande. Andò in prigione, perse la casa, il lavoro, il palcoscenico sociale, eppure non si arrese: continuò a scrivere sceneggiature sotto falso nome e a battersi fino al successo per lo smantellamento della lista nera.
Così come il personaggio di cui narra, anche il film ha una visione ideale, che consiste nel parallelismo tra l’impegno di Trumbo nel mestiere, fatto di immersione totale e strenua resistenza al sonno e alla fatica, e l’impegno dello stesso per la difesa delle proprie convinzioni politiche, e soprattutto per la difesa della libertà di pensiero tout court: impegno non meno totalizzante e sottomesso ad una prova di altrettanta, se non maggiore, resistenza fisica e psicologica. Trumbo, infatti, non solo lavorò moltissimo, sotto pseudonimo, durante gli anni bui, ma passò altrettanto lavoro ai colleghi che avevano fatto la sua stessa scelta di coerenza e patito il medesimo ostracismo. Così agendo, testimoniava nella pratica un’idea di giustizia sociale intesa in primo luogo come redistribuzione della ricchezza e bombardava attivamente il muro di gomma che la Commissione e la paranoia diffusa avevano alzato attorno ai cosiddetti “Dieci di Hollywood”.
Peccato che, alla visione ideale, corrisponda però un risultato sbilanciato, e proprio in sede di sceneggiatura: se, infatti, il percorso dell’esclusione e dell’umiliazione personale, nel bene e nel male, è tracciato con completezza e approda ad un finale adeguato, quello professionale, resta solo accennato. In un biopic su uno sceneggiatore, e di tale portata, avremmo voluto vedere più sequenze del genere di quella in cui Trumbo progetta Vacanze romane o discute col vivace Frank King (John Goodman), ma il film di Roach non ci accontenta: spostando il fuoco (anche rispetto al libro di Bruce Cook da cui è tratto) sul padre di famiglia e sul suo ruolo di esempio umano, il copione di McNamara sceglie chiaramente la via del racconto di eroismo e sacrifica l’indagine possibile sulle opere.
La pittoresca sequenza con Otto Preminger e Kirk Douglas è divertente, ma non risolve le cose.
Una nota di merito va invece a Bryan Cranston, che riesce nell’impresa di non rendersi a tutti i costi più interessante del personaggio che incarna.

(Si ringrazia Mymovies.it per la collaborazione)
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