“Paranoid” dei Black Sabbath eletto miglior album metal di sempre

L’ultimo capitolo del viaggio di Rollingstone.it fra i migliori dischi che hanno scritto la storia del genere metal, tra muri di chitarre, batterie come bombe e band diventate leggenda, incorona ”Paranoid” dei Black Sabbath miglior album metal di tutti i tempi.
È successo venerdì 13 febbraio 1970, con un rombo di tuono e il suono di chitarra più violento della storia: è così che è nato un nuovo genere musicale. Le sue radici affondano nei primi anni ’60, quando artisti come Blue Cheer e i Led Zeppelin spaccavano gli amplificatori per suonare il loro blues spacca-mascella. Ma sono stati i Black Sabbath, con il loro esordio oscuro, a inventare quello che ora, 50 anni dopo, chiamiamo heavy metal. Certo, i membri dei Sabbath hanno scansato l’etichetta “metal” per anni, non importa se la loro musica era un trionfo di chitarre distorte, batteria acrobatica e voci esagerate. Tutto era pensato come la versione musicale di un film horror e l’idea è stata copiata decine di volte, decade dopo decade.
I Judas Priest l’hanno vestita di denim e pelle. I Korn ci hanno aggiunto nuovi ritmi. E gli Avenged Sevenfold le melodie più catchy. Nel mezzo i sottogeneri più disparati: death metal, black metal, grindcore, tutte sottoculture che, all’inizio degli anni ’80, riuscirono addirittura a conquistare le classifiche di tutto il mondo. Le band metal non erano le prime a incorporare nella musica un immaginario così oscuro – ci avevano provato anche Wagner e bluesmen come Robert Johnson -, ma è con il metal che questa idea ha trovato la sua collocazione definitiva. Può essere virtuoso o primitivo, ma è sempre suonato a un volume esagerato. Questo, insieme allo stile di queste band (i vestiti neri, le maschere, le scritte), ha trasformato il genere in un vero e proprio movimento culturale.
I fan del genere (chiamateli metallari, o come vi pare) sono appassionati, carismatici e coraggiosi, sono sempre pronti a discutere, definire e difendere ogni sfumatura di ogni singola band in circolazione. Il metal è stato tantissime cose diverse, e non è facile accontentare tutti.
Per questo, quando dovevamo stilare questa classifica, ci siamo dati delle regole ben precise. Nonostante le band delle origini, quelle degli anni ’60 – non i giganti come i Led Zeppelin, ma le formazioni meno conosciute come i Mountain, Captain Beyond e Sir Lord Baltimore – ci abbiano regalato momenti musicali meravigliosi, i loro album non hanno niente a che vedere con il massimalismo che ha definito il genere negli anni, quindi li abbiamo esclusi. Abbiamo fatto la stessa cosa con band più propriamente rock & roll, come gli AC/DC e i Guns.
Allo stesso modo abbiamo dovuto escludere alcune band che Rolling Stone definiva come metal negli anni ’70: i Kiss, Alice Cooper, sono artisti che oggi suonano più hard rock che altro. E, quindi, l’incoronazione di ”Paranoid”, l’album che ha creato tutto ciò. È impossibile immaginare cosa sarebbe diventato l’heavy metal senza il riff iconico e cupo di “Iron Man”, lo spessore musicale di “War Pigs” e le mitragliate a ripetizione di “Paranoid”.
«”Paranoid” è importante perché è il calco da cui il metal ha preso forma», ha scritto nelle note allegate alla ristampa dell’album nel 2016 il frontman dei Judas Priest Rob Halford. «Scaraventò il mondo in un nuovo sound e una nuova scena». Dalla prima all’ultima traccia, la voce tagliente di Ozzy Osbourne tocca tutti i tipi di argomenti che sarebbero stati ripresi nel metal delle generazioni successive: apocalisse imminente, vittime della droga, guerra nucleare, brutalità, autocrati senza scrupoli, amore e disillusione generale. La musica è oscura e tetra, con riff di chitarra ispirati al blues che altri gruppi avrebbero copiato e ridotto a uno stordimento irriconoscibile.
L’album ha anche un assolo di batteria. Come hanno dichiarato i membri della band nel corso degli anni, arrivarono al sound di “Paranoid” attraverso una gavetta infinita, suonando diversi set a notte in date ad Amburgo e Zurigo, di fronte a platee quasi inesistenti. Allungavano un brano come ”Warning”, l’epico pezzo basato su chitarra blues in “Black Sabbath”, al punto tale da sfociare nel riff principale di “War Pigs” (il cui testo originale dal titolo “Warpurgis” narrava di una messa nera). Agli inizi “Rat Salad” era l’assolo di batteria di Bill Ward e poteva durare fino a 45 minuti. La minacciosa linea di basso in ”Hand of Doom” di Geezer Butler, che scrisse anche la maggior parte dei testi cupi di ”Paranoid”, nasceva dall’improvvisazione. E la funky ”Fairies Wear Boots” era basata in maniera vaga su una vera rissa violenta tra la band e un gruppo di skinhead dopo un concerto nel nord dell’Inghilterra (il dispregiativo “fairy” – fatina ma anche frocio – voleva effeminare gli aggressori che indossavano stivali).
Butler scrisse della sua disillusione con un piglio fantascientifico nel testo di “Iron Man” (che inizialmente non aveva niente a che fare con il personaggio dei fumetti Marvel). Per il bassista che era cresciuto in un tetro ambiente postbellico come il resto della band – la bombardata Birmingham – era facile descrivere distopie come quelle in ”War Pigs” ed ”Electrical Funeral”. Persino la canzone d’amore in salsa hippie “Planet Caravan”, con i suoi bonghi e le sue jazzate linee di chitarra flamenco, venne rifinita da testi freddi, distanti e fantastici sul sentirsi persi nello spazio.
Butler poi descrisse la sua stessa depressione in “Paranoid”, un pezzo buttato lì all’ultimo minuto per riempire un lato del disco, caratterizzato da una lucidità consapevole in giri di parole come “Dì una barzelletta e io sospirerò, tu riderai e io piangerò”. Eppure toccò le corde giuste, diventando un enorme successo e una delle canzoni più suonate dalla band. Secondo i Black Sabbath, “Paranoid” era il suono della realtà, un lamento in cerca di comprensione che avrebbe trovato il favore di milioni di persone che provavano la stessa disaffezione, molti dei quali avrebbero formato gruppi come Metallica, Pantera e Slipknot. Band che avrebbero cambiato il volto del metal, così come del mondo.
«Le band all’Ozzfest mi dissero che Sabbath era stata la loro fonte di ispirazione più importante», ha raccontato una volta Osbourne. «Li ascoltavo e domandavo: Sotto quale profilo Sabbath vi ha influenzato?», «Non suona per niente heavy metal secondo me», ha detto una volta Butler. «Ma è meglio essere definiti inventori che seguaci». In ogni caso, l’album fu la chiamata alle armi del metal, che risponde in maniera fragorosa e appassionata da allora. (Rollingstone.it)

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