Vitalizi, Maestri: “Era l’occasione per correggere anche il Tuel”

“La proposta di legge sui vitalizi approvata dalla Camera riguarda essenzialmente i trattamenti previdenziali già in essere per gli ex parlamentari, in quanto l’abolizione dei vitalizi era già stata varata nel 2011. Dunque, chi come tanti di noi è alla prima legislatura, già oggi versa ogni mese quei contributi che daranno luogo ad una pensione e non a un vitalizio.
La riforma, pur contenendo alcuni aspetti critici sui quali abbiamo espresso perplessità – a partire dai presupposti di costituzionalità del ricalcolo delle prestazioni già erogate – e sui quali avevamo avanzato controproposte ugualmente efficaci, ma a nostro avviso più corrette, noi l’abbiamo votata. Il vero buco normativo che permane e che abbiamo inutilmente segnalato a più riprese è invece quello del trattamento previdenziale per gli amministratori locali, sindaci e assessori anzitutto. Siamo tra i firmatari di una proposta di legge che, insieme al tema dei vecchi vitalizi e a una più coerente armonizzazione della disciplina previdenziale tra eletti e cittadini, avrebbe risolto anche il nodo per gli eletti locali ma, purtroppo, ancora una volta, non si è voluto tener conto di questo problema”.
Lo hanno dichiarato i deputati Pd della Commissione Lavoro Patrizia Maestri e Davide Baruffi.
“In Aula, dopo aver presentato la richiamata proposta di legge abbinata e dopo aver tentato in commissione di correggere con un emendamento, ci siamo fatti promotori di due ordini del giorno purtroppo dichiarati inammissibili. Nel merito, invitavano il Governo a riformare il Testo Unico degli Enti Locali riconoscendo una copertura previdenziale anche a quei cittadini che ricoprono incarichi pubblici nei Comuni. Oggi infatti la legge prevede questa possibilità solo per i lavoratori dipendenti collocati in aspettativa e per i lavoratori autonomi che continuino a versare i contributi nelle proprie casse di provenienza, escludendo quindi i disoccupati, gli studenti, ecc.” – hanno spiegato Maestri e Baruffi – “Una situazione paradossale, che contiene altre incongruenze e che in definitiva discrimina amministratori che pure ricoprono il medesimo incarico.
A causa di ciò molti amministratori, alla fine della propria carriera, corrono il rischio di non poter godere della pensione o di subire una riduzione significativa dell’assegno pensionistico in ragione del fatto che l’amministrazione presso la quale hanno svolto il mandato non era tenuta al pagamento dei contributi previdenziali. Un vero e proprio vuoto normativo che rischia di penalizzare soprattutto i giovani amministratori chiamati, in modo via via crescente negli ultimi anni, a rivestire cariche apicali negli enti locali”.
“Sul piano tecnico le soluzioni percorribili sono diverse” – ha precisato Patrizia Maestri, che è prima firmataria di una proposta di legge sull’argomento – “ma quella sulla quale chiediamo un’attenzione immediata da parte del Governo è di consentire, senza oneri per lo Stato, la facoltà di riscatto per i periodi di mandato non coperti da contribuzione. Sarebbe un intervento di equità che renderebbe giustizia ai tanti amministratori locali che con passione e dedizione hanno servito i propri territori senza alcun tornaconto personale”.

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