“2020 la primavera di Parma”: il racconto di Giovanni Capece

Mancano poche ore al 22 febbraio, una data indimenticabile per il sistema Parma.

La data da cui parte il racconto vero, prezioso, appassionato e appassionante di Giovanni Capace sull’emergenza Covid, vista dal suo punto di vista, di coordinatore delle Assistenze Pubbliche provinciali; pagine di una specie di diario, in gran parte frutto della trascrizione di chat e messaggi social, profondamente tragiche per le vicende di sofferenza fisica e psicologica che narrano, per la morte sempre presente; con sprazzi di pensieri leggeri, divertenti, con riferimenti autoironici alla vita privata, spesso dissacranti, (Lina Callegari, la moglie dell’autore, santa subito!), presi e distribuiti a manciate, quasi ogni giorno, come medicine per la mente, forse per aiutare a sopportare l’insopportabile.

La storia della tragedia collettiva dell’impatto, del terrore imprevisto e incontrollabile, quello del Covid sulla vita delle persone di Parma e della sua provincia, da un punto di vista privilegiato e unico; una trama lunga una primavera, con la ricostruzione del lavoro indispensabile del volontariato, impegnato a rispondere alle emergenze, nei trasporti dei malati, nelle sanificazioni, nelle fasi logistiche: dal 22 febbraio 2020 al 18 giugno 2020. Uno spaccato apocalittico, un “dietro alle quinte” da togliere il fiato, inimmaginabile per chi ne era fuori: decine di migliaia di interventi, migliaia di volontari, centinaia di mezzi. In mezzo a tante incognite. Purtroppo, migliaia di morti, e tra di essi anche i volontari. I numeri assurdi del contagio, della crescita dei malati, delle cure ad un passo dal collasso, di una situazione che ad un certo punto sembrava fuori controllo, ad un passo dall’esplosione e implosione totale; che fortunatamente alla fine ha retto, con cifre e parole che diventano meno taglienti e accompagnano fino alla prima fine, alla prima tregua estiva, con il ritorno alla quasi normalità; il tutto visto con gli occhi lucidi, per fatica, per emozione, per rabbia, del volontariato delle Pubbliche e della CRI. Racconti, episodi, riflessioni, con i giorni ad un certo punto sempre più faticosi, sempre più sudati, sempre passati in piena prima linea; un diario di quella che sarà ricordata per sempre come una vera propria battaglia per la vita, per la sopravvivenza.

Sempre ad un passo dal capitolare, dall’essere travolti, dal mollare tutto. Come al fronte di un’immaginaria guerra: la notte che porta un minimo di tregua, di ripresa, il silenzio delle ambulanze, fino all’alba, dove le parole e i numeri, soprattutto le sirene dei mezzi di soccorso, si fanno sentire di nuovo, come spari. Un libro che racconta in diciassette capitoli la battaglia epica e crudele tra la vita e la morte, tra la speranza e la rassegnazione, tra chi si è immolato, arrivando anche a sacrificare la vita, conscio della gravità della situazione, e chi si è nascosto, preso dalla paura della malattia, dalla rassegnazione. Proprio come in guerra, eroi e codardi, in tutte le compagnie. Scorrendo le pagine, si ha la visione su quello che può essere definito come un nuovo campo di battaglia, dove al posto dei proiettili e delle bombe c’erano, e purtroppo ci sono ancora, i DPI salvavita, le mascherine FFP2, i camici per i volontari, i sanificanti, tutti oggetti ad un certo punto introvabili, come l’ossigeno per i malati.

La scoperta, sulla propria pelle, dell’importanza di comunicare in modo corretto, a tutti i livelli, in tutte le situazione, senza sottovalutazioni, senza banalità, ma allo stesso tempo senza uccidere la speranza, senza annientare le capacità di resistenza interiore; senza indebolire la forza di volontà, fondamentale per reagire all’aggressione del virus in caso di contagio. Imparare ad avere timore del Covid, ma non ad averne paura.

Un racconto senza happy end, aggiornato a dicembre 2020: ad oggi, passato un anno, a febbraio 2021, anche per non aver tenuto fino in fondo conto degli errori commessi e narrati nel libro, siamo ancora ben lontani da una soluzione del problema Covid. Con una vena di malinconia, per gli immancabili strascichi nelle relazioni personali, dopo un periodo così intenso, tipici di un certo modo di agire e pensare nel volontariato, senza nessuna particolare cattiveria o con intenzioni fuori dalla buona fede, ma che una volta immaginato di aver passato l’emergenza, fanno tornare alcune persone a traguardare orizzonti poco ampi, quasi meschini. Un po’ quello che succede proprio anche ai reduci, dopo una guerra non ancora vinta, e che forse non lo sarà mai.

Un testo prezioso, un vero manuale, che dovrebbe essere sul comodino o sulla scrivania di tutti quelli che si occupano di interventi e di assistenza, sia con compiti istituzionali, tecnici o da volontari. Soprattutto per comprendere a fondo, da un punto di vista privilegiato, la complessità di un sistema di reazione ad un’emergenza sanitaria, dove il coordinamento, l’affidabilità e la preparazione, ma soprattutto la condivisione profonda e sincera di intenti legati al tema della solidarietà umana, sono la chiave per il suo possibile superamento.

Giovanni Capece, classe 1966, imprenditore di successo; dopo una laurea in giurisprudenza, anni di cultura politica, folgorato dalla figura carismatica di Andrea Borri. Ma soprattutto una vita nel volontariato, ricoprendo tutti i ruoli. Lo potete sempre trovare al suo posto, ogni sabato pomeriggio, alla Pubblica di Fornovo, per il suo turno di volontario.

Mauro Delgrosso

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