La morte di Mussolini

28/04/2015

ACCADDE OGGI: Il 28 Aprile 1945, “Il Duce” Benito Mussolini, la sua amante, Claretta Petacci, e altri gerarchi fascisti furono giustiziati da partigiani italiani, dopo esser stati catturati mentre cercavano di fuggire oltre il confine.
Il 61enne ex-dittatore era stato messo a capo della Repubblica Sociale Italiana dagli alleati tedeschi dai quali era stato liberato nel Settembre del ’43, dopo esser stato deposto dal Gran Consiglio del Fascismo nel Luglio dello stesso anno e confinato sul Gran Sasso.
Mentre le forze alleate avanzavano lungo la penisola, e la sconfitta dell’Asse si delineava sempre più chiaramente come prossima, Mussolini valutava le sue opzioni. Inizialmente tentò di contrattare la propria incolumità con il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia – CLNAI – tramite la mediazione dell’arcivescovado di Milano.
Fallito questo tentativo, nella serata del 25 aprile 1945, mentre i capi della resistenza davano l’ordine d’insurrezione generale, Mussolini lasciò Milano e partì verso Como. Apparentemente non desiderava cadere nelle mani degli Inglesi o degli Americani, e, fallita la mediazione, temendo che i partigiani comunisti, che avevano combattuto le truppe e le bande fasciste nel Nord Italia, lo avrebbero processato come criminale di guerra, si risolse a cercare la via della salvezza passando il confine con la Svizzera, stato neutrale.
Arrivati alla frontiera, Mussolini e il suo seguito scoprirono che le guardie di confine si erano schierate coi partigiani e, riconoscendo Mussolini, non avrebbero mai lasciato passare il gruppo. Indossato un cappotto militare della Luftwaffe e un elmo tedesco, Mussolini sperò allora di riuscire a recarsi in Austria con un convoglio di soldati germanici.
Lo stratagemma comunque non funzionò e il 27 Aprile nella piazza di Dongo, nei pressi del lago di Como, la colonna motorizzata in cui cercavano di confondersi i fuggiaschi fu intercettata da un commando partigiano della 52a Brigata Garibaldi. Durante l’ispezione ai mezzi tedeschi un partigiano riconobbe Mussolini su uno dei camion.
Disarmato del mitra e della pistola, fu arrestato e preso in consegna dal vicecommissario di brigata, Urbano Lazzaro detto “Bill”. Anche tutti gli altri componenti italiani del seguito vennero arrestati. Il pomeriggio successivo Mussolini e la Petacci venivano giustiziati a Giulino di Mezzegra, in fianco al cancello d’entrata di Villa Belmonte.
Nella testimonianza di Leo Valiani, la decisione di eliminarlo fu presa nella notte fra il 27 e il 28 Aprile da membri del CLNAI, che comprendevano, oltre a Valiani, Sandro Pertini, Emilio Sereni e Luigi Longo. Longo diede l’ordine al comandante partigiano comunista Walter Audisio, conosciuto come Colonnello Valerio, che lasciò Milano alla volta di Dongo ed esegui l’ordine insieme ad Aldo Lampredi detto “Guido”, e Michele Moretti. Longo chiuse le istruzioni ad Audisio in modo perentorio, dicendogli “Vai e sparagli”.
I tre fornirono poi diverse versioni degli eventi che caratterizzarono la condanna a morte e l’esecuzione, spesso facendo emergere informazioni rivelatesi inesatte ed entrando in contraddizione fra loro. Sulla base di tali incoerenze, alcuni storici sono arrivati al punto di dubitare dell’identità degli esecutori e della legittimità della decisione del CLNAI.
Lo studioso Giovanni Sabbatucci ha comunque ribadito in modo convincente che il senso ultimo dell’accaduto sta nel fatto che “era importante che fosse la Resistenza italiana ad assumersi l’onere dell’esecuzione”. Inoltre, “in caso di consegna agli Alleati ci sarebbe stato un processo che avrebbe chiamato in causa responsabilità e complicità diffuse”, e tale eventualità era da scongiurare per i futuri governanti d’Italia, a cui in quel momento storico premeva molto separare le responsabilità dello stato e del popolo Italiano da quelle del fascismo e di coloro che l’avevano rappresentato.
E da questo punto di vista l’obiettivo dei partigiani del CLNAI fu raggiunto, poiché la rivendicazione dell’esecuzione avvenne ad opera del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia con un comunicato del 29 aprile 1945 e da Dongo Mussolini e gli altri condannati furono poi trasportati cadaveri a Milano.
Nella città dove i Fasci da Combattimento erano stati istituiti nel 1919, nelle prime ore del mattino di Domenica 29 Aprile i corpi senza vita di Mussolini, della Petacci e di altri 12 gerarchi, fra cui quelli del segretario del partito fascista Roberto Farinacci e di Carlo Scorza, furono scaricati in Piazzale Loreto, dove 15 antifascisti erano stati fucilati per rappresaglia nell’Agosto del ’44 e i loro corpi lasciati come monito in mostra sotto il sole.
I passanti, notati i cadaveri che giacevano ammucchiati, iniziarono ad avvicinarsi e molti, dopo averli riconosciuti, non si fecero scrupolo di farne scempio. Secondo quanto riportò Radio Milano, una donna sparò cinque colpi a Mussolini, gridando “Cinque colpi per i miei cinque figli assassinati!”.
Un’altra, ormai anziana, lo prese ripetutamente a calci in faccia urlandogli “Porco!”. Numerosi erano quelli che ricoprivano i cadaveri di sputi e facevano ressa attorno cercando di avvicinarsi o di calpestarli, e più volte i partigiani presenti dovettero sparare in aria per tentare di ristabilire l’ordine tra non poche difficoltà.
Infine, per impedire che fossero ulteriormente oltraggiati, i partigiani issarono i corpi per i piedi, appendendoli con ganci da macello alle travi di metallo di una vicina stazione di servizio, che sorgeva dove ora si trova una banca. Furono tolti nel pomeriggio di quel giorno, per ordine delle autorità militari della 5° Armata Americana che, giunte in città, predisposero che venisse effettuata l’autopsia.

Alessandro Guardamagna

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