“Badanti straniere via dalle panchine! Così si fa integrazione?”

29/04/2009

Finche c’è rabbia c’è speranza. Potremmo parafrase così il dissenso verso alcuni provvedimenti e proposte lette e commentate sui mezzi di stampa locali e nazionali in relazione ai limiti imposti agli “esercizi commerciali etnici” (kebaberie) e all’ipotesi di vietare, a badanti e immigrati in genere “nulla facenti”, la possibilità di sedersi sulle panchine del Parco Ducale nella nostra città.
Il senso di vergogna che si prova di fronte a tanta manifestazione di sottocultura e razzismo impone di interrogarci su noi stessi, sul livello di immiserimento presente nella nostra civiltà e su quanto ognuno di noi ne sia coinvolto.
Lo scatto di rabbia, il coraggio e la volontà, ancora presenti in molti di noi, nel denunciare pubblicamente lo scempio della nostra storia e dei nostri valori fondativi, conquistati con tanti sacrifici dai nostri padri, che si sta consumando anche attraverso la sottovalutazione da parte di una certo atteggiamento istituzionale, lascia comunque aperte molte speranze. Forse, non tutto è perduto.
La Cgil non fa calcoli elettorali, non teme di dire verità fastidiose, a costo di pagare un prezzo ai poteri forti. Esempi recenti lo dimostrano. Non siamo i soli ma vorremmo che tanti facessero sentire la propria voce.
Già si possono immaginare le possibili repliche: l’esigenza di sicurezza, il rispetto dei doveri, le regole di convivenza e riguardo nei confronti del paese ospite impongono risposte necessarie a sentimenti comuni.
Ma queste considerazioni, che pur prese correttamente rappresentano la base non solo condivisibile ma irrinunciabile per ognuno di noi, diventano, se mescolate, confuse e strumentalmente agitate, la miscela esplosiva che prepara una società divisa, conflittuale e più insicura.
In un momento di disagio sociale acutizzato da una crisi economica e occupazionale che investe tutti ma che si abbatte con più forza sulle classi meno abbienti, sarebbe dovere della politica e delle istituzioni non di fomentare odi fra poveri, bensì di cercare soluzioni di maggiore equità, di tutela per coloro che più sono esposti ai ritorni di povertà. Povertà che in assenza di risposte rischia di deviare anche in comportamenti delittuosi ed estremi.
Ebbene, che centra tutto questo con il colpire, con diabolica mira, la libera iniziativa, anche imprenditoriale, di cittadini stranieri che regolarmente producono e vendono i loro prodotti gastronomici o con il loro incontrarsi, il loro stare insieme, negli spazi pubblici? Sono da considerarsi come concorrenza sleale verso l’intrapresa degli autoctoni? O è puramente il fastidio che produce il solo vederli vivere quel momento di comunità che a noi pare perduto per sempre, presi ormai solamente dai bisogni indotti del possedere e del consumare?
La Cgil ha denunciato da subito l’azzeramento dei fondi, a partire da quello nazionale, per le politiche di integrazione e le nuove normative che di fatto impediscono i ricongiungimenti familiari: perché è con questi provvedimenti che si fomentano rancori.
E anche per questo non risultano comprensibili provvedimenti che inaspriscono la permanenza nei centri di espulsione senza risolvere il problema dei rimpatri, o che promettono ricette risolutive per difenderci, a casa nostra, dagli stranieri impiegando ronde o succedanei, invece di investire nella Polizia di Stato, o ancora proposte come quella che prevede la denuncia da parte dei medici nei confronti di pazienti clandestini o le classi differenziate per i giovani stranieri. Così come appare insensato agitare la supposta sottrazione delle ex case popolari a danno dei locali.
Tutte iniziative fra l’altro a bassa efficacia pratica ma ad elevato impatto mediatico. Un moltiplicarsi di provvedimenti che purtroppo appaiono, soprattutto ai cittadini stranieri, come un accanimento ingiustificato delle nostre istituzioni verso di loro.
Sarebbe utile invece ricordare quanto, ad esempio, contribuiscono con tasse e contributi previdenziali a sostenere le casse, diversamente deficitarie, degli Enti nostrani.
Non è che tutto questo è finalizzato a costruire quelle scorciatoie di una certa politica che semina vento e non attende altro che raccogliere tempesta?”

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