TeoDaily – Gesù è appena risorto.
Maria Maddalena è stata la prima a vederlo nel sepolcro nel suo corpo materiale trasfigurato.
Quello stesso giorno i discepoli sono trincerati in un luogo a porte chiuse, probabilmente dove si era consumata l’ultima cena, pieni di paura per i giudei.
All’improvviso Gesù si presenta in mezzo a loro, e dice: ‘Pace a voi!’. E, detto questo, mostra loro le mani e il costato. Tommaso, uno dei dodici, non è con loro quando viene Gesù. Gli altri discepoli gli dicono: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli risponde: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò’” (Giovanni 20:19-25).
Con queste parole Tommaso passa alla storia come lo scettico, il miscredente, quello che avanza pretese e rifiuta di credere vero tutto ciò di cui non ha avuto un’esperienza diretta, personale e sensibile.
Otto giorni dopo i suoi discepoli sono di nuovo in casa, e Tommaso è con loro. Gesù torna e dice a Tommaso: “Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente”.
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A quel punto Tommaso, che non tocca Gesù (a dispetto dell’iconografia storica, anche del Caravaggio), lo riconosce e pronuncia una frase che mi ha sempre fatto venire i brividi: “Signor mio e Dio mio!“
E’ una scena fortissima. Proviamo a immaginare cosa si possa provare a trovarsi non davanti a un uomo, non davanti a Gesù, ma al cospetto di Dio.
La primizia assoluta di Tommaso è che è lui a riconoscere per primo la divinità di Cristo, è il primo degli apostoli a identificare in un uomo Dio e ad appellarlo come tale. Nessuno prima di lui lo aveva fatto.
Quel ‘Signor mio e Dio mio!’ è la professione di fede cristologica più alta di tutto il Vangelo, e a compierla è il “famigerato” Tommaso.
Gesù non si sottrae e accetta di essere adorato da Tommaso come Dio, e gli dice: ‘Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!’” (Giovanni 20:28-29).
Tommaso non crede alla parola dei discepoli, ma non se ne va, rimane con loro, crede ancora alle parole di Gesù che aveva annunciato che sarebbe tornato in vita ancora per poco, si ostina a sperare.
Gesù lo fa aspettare otto giorni. Del resto la fede è un’attesa che richiede i suoi tempi, tutta la vita.
Tommaso non è altro che lo specchio dell’esistenza cristiana; è accaduto a Tommaso ciò che accade a ciascuno di noi davanti ai misteri incredibili della fede. Non è per nulla facile credere alla resurrezione di Gesù, alla resurrezione dei corpi alla fine dei tempi, al giudizio universale, è più facile aderire ai valori morali del cristianesimo oppure concepire qualche forma di divinità o di vita ultraterrena.
Tommaso non è un esempio negativo ma il percorso che dovrebbe compiere ogni credente: cercare Dio, dubitare, rimanere, dubitare ancora, riconoscere, affidarsi.
Siamo tutti Tommaso.
Gesù invita ad accogliere la fede attraverso coloro che hanno fatto esperienza dirette di Gesù; non per nulla la Chiesa è “apostolica”, poichè si basa sulla testimonianza e sull’annuncio degli apostoli.
Per la tradizione Tommaso si spinse a predicare il Vangelo fuori dei confini dell’Impero romano, in Persia e in India, dove fondò la prima comunità cristiana, fino al martirio. Oggi Tommaso è patrono dell’India.
Non potremo mai fare alcuna verifica diretta sui dogmi di fede.
Alla fine neppure Tommaso ha messo il dito nel costato.
Il dubbio di Tommaso non depone contro la risurrezione, la certifica.
L’incredulità di uno ha consolidato la fede di tutti.