Turandot, ossia il trionfo del desiderio

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Degna di un grande colossal cinematografico, ecco nuovamente la Turandot firmata Zeffirelli nell’anfiteatro veronese.

Turandot è l’ultimo dramma lirico, rimasto incompiuto, di Giacomo Puccini. Ispirato all’omonima fiaba teatrale settecentesca di Carlo Gozzi, Turandot andò in scena per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, diretto da un commosso Arturo Toscanini. Gli appunti pucciniani per il finale furono affidati ad un altro compositore, Franco Alfano, a cui dobbiamo la conclusione con cui Turandot è tradizionalmente eseguita.

Il capolavoro pucciniano approda in Arena nel 1928 a soli due anni dalla prima assoluta e nonostante sia il titolo più recente del compositore lucchese, è anche il primo ad essere rappresentato sul palcoscenico veronese, collezionando ad oggi un totale di 150 rappresentazioni che lo collocano al quarto posto tra le opere più eseguite in Arena, superato in cifre solo da Aida, Carmen e Nabucco.

Tema quanto mai attuale quello dell’amore, del sacrificio, della sfida col destino, del mistero. l mistero è il protagonista nelle scene giocate nell’ombra di una Pechino addormentata, nelle maniere distaccate della “divina” Turandot, nell’intreccio dei destini che si sublimano sciogliendo i tre enigmi che parlano di “speranza”, “sangue” e “Turandot”, il cui nome evoca la freddezza della morte.

Zeffirelli nelle scenografie riesce a giocare ed enfatizzare con contrasti forti: luce buio, sfarzo e miseria, magia e dimensione della realtà, fatta di un popolo che come una massa strisciante osserva e subisce gli effetti delle vicende divine che coinvolgono i protagonisti.

Un’opera da non perdere e un’esperienza, quella dell’Arena di Verona, che va fatta almeno una volta nella vita!

(Per maggiori informazioni sul calendario delle opere: https://www.arena.it/it/arena-di-verona/Calendario)

Giovanna Passeri

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