Unioni di Comuni al posto delle Comunità Montane

06/02/2009
h.13.40

Proprio in queste ultime settimane i comuni dell’Emilia-Romagna che hanno fatto parte delle Comunità montane così come erano state concepite prima della legge nazionale 244/2007 che ha voluto la loro riforma per il tramite delle regioni, si sono trovati di fronte alla scelta se rimanere ancorati a quel vecchio modello associativo con funzioni e prerogative mutate ed in generale molto meno incisive dal punto di vista dell’efficacia amministrativa, oppure cercare nuove soluzioni per la gestione dei servizi prima in capo alle Comunità, andando in solitario o avviando altre forme associative.
Di sicuro gli amministratori che dovevano prendere questa decisione si sono trovati davanti uno scenario normativo molto confuso dovuto ad una legge regionale di riordino territoriale, la 10/2008, fortemente voluta dal centrosinistra regionale per finalità squisitamente propagandistica, che invece di semplificare il processo di razionalizzazione delle funzioni lo ha ulteriormente complicato. Se infatti si voleva realizzare un efficace riordino territoriale che avrebbe avuto come sue dirette conseguenze il miglioramento dei servizi ed il reale contenimento dei costi per gli enti e quindi per i cittadini, si sarebbe seriamente puntato su un nuovo modello associativo per i comuni nel contempo leggero e funzionale. La legge regionale invece ha continuato a puntare sui due modelli preesistenti, Comunità montane e Unione di comuni, per i quali è cambiata la faccia ma non la sostanza in quanto rimangono sovrastrutture burocratiche utili al centrosinistra di questa regione che li vuole continuare ad usare come centri di potere politico.
Per non andare contro quelli che sono i desiderata dei vertici regionali del PD e comunque non avventurarsi in scellerate soluzioni solitarie ed antistoriche perpetrate fortunatamente solo da pochi (in provincia di Parma solo Calestano), molte amministrazioni comunali montane hanno optato per confluire nelle nuove Comunità montane.
Eppure ci sarebbe un’altra soluzione che qualcuno ha potuto solo ventilare, perché stretto tra i confini di comuni finitimi amministrati dal centrosinistra e quindi nella pratica obbligati ad aderire all’opzione voluta dall’alto che avrebbero senz’altro rifiutato, ed altri con coraggio e lungimiranza hanno proposto: quella di costituire Unioni di comuni, di dimensioni ridotte rispetto alla precedente comunità montana e più marcatamente territoriali rispetto ad essa, le quali, pur nella confusione delle normative regionali che le prevedono e con la giusta determinazione degli stessi amministratori, sarebbero potute diventare non baracconi burocratici costosissimi come avviene nelle Terre Verdiane, ma efficienti centri di gestione di servizi pubblici più funzionali e meno costosi.
Questo modello ha dunque tutte le carte in regola per attuare un concreto progetto politico amministrativo di rilancio del territorio montano soprattutto laddove, e mi riferisco alle Valli del Taro e del Ceno, la preesistente comunità montana ha fino ad ora fallito e da adesso in avanti, come modello precostituito, statico e sostanzialmente svuotato rispetto a prima, avrà ancora più difficoltà. Purtroppo la scelta che per ora ha prevalso è stata quella della Comunità Montana ma si sa che anche nella pubblica amministrazione e per fortuna, si può cambiare.
Ora è rimasta solo la speranza di un modello organizzativo diverso e più innovativo, ma visto che molte amministrazioni comunali che hanno fatto questa scelta sbagliata saranno a breve rinnovate, se qualcuno continuerà a crederci, potrà seriamente concretizzarsi.

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