11 aprile 1512: viene combattuta la battaglia di Ravenna

L’11 aprile 1512 viene combattuta la battaglia di Ravenna.

La battaglia di Ravenna fu una delle battaglie combattute durante la Guerra della Lega di Cambrai e si svolse domenica 11 aprile 1512 (giorno di Pasqua) nei pressi della città romagnola. I francesi comandati da Gaston de Foix, famoso in seguito come “Folgore d’Italia”, e le truppe della Lega Santa, guidate dal viceré di Napoli Raimondo de Cardona e da Pietro Navarro, si scontrarono in un luogo posto lungo la riva del fiume Ronco (quasi alla confluenza col Montone), pochi chilometri a sud della città.

Insieme a quella di Marignano fu la più grande battaglia delle Guerre d’Italia: vi parteciparono tutti i più noti condottieri dell’epoca tra cui Antonio di Leyva, Fabrizio I Colonna, Fernando d’Avalos Marchese di Pescara, Ettore Fieramosca, Romanello da Forlì, Giovanni Capoccio, Raffaele de’ Pazzi, Francisco de Carvajal, Fanfulla da Lodi nell’esercito della Lega Santa; Carlo III di Borbone, Teodoro Trivulzio, il cavalier Baiardo, Odet de Foix, Federico Gonzaga, Jacques de La Palice, Yves d’Alegre, Alfonso I d’Este, Gaston de Foix da parte francese.

Nel 1557, a commemorare l’evento, venne eretta per volere del Presidente di Romagna Pierdonato Cesi, futuro cardinale, la cosiddetta “Colonna dei Francesi”.

La battaglia di Ravenna inaugurò un’era nuova nel modo di guerreggiare, per la prima volta si era ricorsi al massiccio utilizzo di artiglierie da campo. Fino a quel momento l’arte della guerra espressa dai condottieri italiani si basava sulla difesa, sull’opportunità di disporre di un campo ben fortificato che permettesse di assorbire l’urto nemico per poi passare repentinamente al contrattacco. Tale tattica aveva portato più volte a risultati incredibili, come fu per la schiacciante vittoria di Cerignola, quando dietro consiglio di Prospero Colonna, Consalvo de Cordoba schierò i suoi uomini, inferiori di numero, dietro un fosso e il relativo terrapieno.

L’utilizzo dei cannoni sconvolse questa teoria e soprattutto ribaltò i rapporti etici che stavano alla base della cavalleria. Il cannone schiantava indistintamente cavalieri e fanti, nobili e popolani. Da questa data il ricorso alle artiglieria sarebbe stato sempre più frequente, non a caso il vero vincitore delle giornata fu Alfonso d’Este che diede prova inequivocabile del valore bellico delle sue artiglierie. Un altro fattore strettamente legato all’utilizzo dei cannoni è il numero dei morti che a Ravenna fu altissimo se paragonato con le battaglie precedenti, le stime contano più di quindicimila morti totali, fino a conteggi che raggiungono perfino i ventimila. Caddero i due terzi dell’armata ispano-pontificia che si poté considerare annientata; un terzo dei francesi rimase sul campo.

Raimondo de Cardona e Francisco de Carvajal fuggirono prima che la battaglia finisse, il generale spagnolo certo ormai della sconfitta, non si fermò finché non raggiunse la più sicura Ancona. I capitani e gli ufficiali Fabrizio Colonna, il Marchese di Pescara, Malatesta Baglioni, Pietro Navarro, Giovanni Capoccio, Romanello da Forlì, Antonio de Leyva e molti altri furono presi prigionieri; tra quelli che morirono sul campo vi furono Cristoforo di Zamudio (alcade di Burgos e capitano degli arcieri) e Raffaelle Pazzi.

Da parte francese caddero Yves d’Alegre, Gran Capitano di Francia e il figlio Viverois; Jacopo d’Empser connestabile dei lanzichenecchi; Alleman de Mollard comandante dei guasconi, oltre naturalmente a Gaston de Foix. Jacques de La Palice, Odet de Foix, Federico Gonzaga da Bozzolo furono feriti.

Della violenza inusuale e della grandiosità della battaglia parla sempre il Guicciardini nella sua Storia: “Così mescolate tutte le squadre cominciò una grandissima battaglia, e senza dubbio delle maggiori che per molti anni avesse veduto l’Italia: perché la giornata del Taro era stata poco più che un gagliardo scontro di lancie, e i fatti d’arme del regno di Napoli furono più presto disordini o temerità che battaglie, e nelle Ghiaradadda non aveva dell’esercito de’ viniziani combattuto altro che la minima parte; ma qui, mescolati tutti nella battaglia, che si faceva in campagna piana senza impedimento di acque o ripari, combattevano due eserciti d’animo ostinato alla vittoria o alla morte…”.

Alla notizia della vittoria francese la città di Ravenna si vide spoglia di ogni difesa e decise di trattare la resa, nonostante gli ammonimenti di Marcantonio Colonna. I primi ad entrare nella città furono i guasconi che vi penetrarono con la scusa di dover far acquisti per il campo. I ravennati rassicurati dall’accordo non si opposero. Nel giro di qualche ora entrava in Ravenna una fiumana di fanti e cavalieri, ancora accaldati e nervosi per la battaglia, urlante i nomi di Gaston de Foix e Yves d’Alegre.

La città fu saccheggiata, come era stato promesso dal Foix prima dello scontro. I battaglioni sciamarono inarrestabili per le vie cittadine poiché gran parte dei loro capitani era morta e non c’era nessuno che ne tenesse a freno l’ingordigia. Furono depredate le chiese e le basiliche, rubati gli argenti, gli ori, e i paramenti sacri; gli abati e i monaci furono passati a fil di lama, le monache violentate; le case e le botteghe distrutte, alla fine si contarono più di duemila morti.

Di quanto accadde da una chiara descrizione Sebastiano Menzocchi nelle sue Cronache: “…l’esercito francese e il marchese di Ferrara dette l’assalto et batteria a Ravenna et la prese, entrano dentro ed mese tutta la terra a sacho, ammazzando gente asai peggio dei Turchi tolsero le mogli a loro mariti, et le figlie a padri et alle dolenti et afflitte madri, che, peggio che più nanzi non esplicare, le suddette mogli et figlie eran condutte in presenza et vista delli mariti et padri a svergognarle et violarle, ligando li mariti spogliava nude le innocente et infelice donne operando in loro ogni disonestà et scelleratezza, poi eseguiti gli effetti inhumani et bestiali, ammazzavano lì mariti et le donne svergognate le menavano di poi al campo, quando non havean facultà né denari da pagare le taglie, et anche rescosse le trattava come prima senza avere rispetto né a Dio né ai Santi…”.

La Palice assunse il comando dell’esercito francese, tuttavia le gravi perdite sofferte nella battaglia non permisero al generale di proseguire l’avanzata verso Roma, inoltre Giulio II aveva sollecitato il cardinale Schiner a muovere in Lombardia alla testa di diciassettemila uomini. Gli svizzeri trovarono la regione totalmente sguarnita e poterono agilmente occupare le roccaforti francesi spingendosi fino ai territori piemontesi. L’esercito francese fu richiamato al nord, ma ormai il suo potenziale bellico era stato duramente intaccato. Entro la fine del giugno dell’anno 1512 gli svizzeri cancellarono la presenza francese in Lombardia.

Il feretro di Gaston de Foix fu portato a Milano, passando per Bologna. Lo seguiva un corteo di cento cavalieri francesi vestiti di nero, altri cavalieri seguivano portando gli stendardi conquistati al nemico. Il corpo fu sepolto nel Duomo di Milano. Nel 1515 il Bambaja iniziò i lavori per la monumentale tomba del generale che mai terminò. Il coperchio del monumento funebre che riproduce i tratti del giovane è conservato nel Castello Sforzesco di Milano.

Anche se morto prematuramente gli storici concordano nel considerare Gaston de Foix come uno dei più grandi uomini di guerra di sempre.

lombatti_mar24