11 gennaio 1947: la scissione socialista (di Stefano Gelati)

Stefano Gelati

L’11 gennaio 1947, settantacinque anni fa, si consumò la scissione nel Partito Socialista di Unità Proletaria (P.S.I.U.P.), con la divisione del socialismo italiano tra massimalisti e riformisti, in due partiti, con due leaders: Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, socialisti filocomunisti da una parte e socialisti democratici e filoccidentali dall’altra.

Questa è la sintesi e la semplificazione, “Nenniani” e “Saragattiani”, che è passò nei decenni della prima repubblica, caratterizzando, per molto tempo, la sinistra italiana.

Al congresso del P.S.IU.P., che si tenne a Firenze nell’aprile del 1946, le tre correnti: la sinistra, di Nenni, Basso, Morandi, con propositi di fusione con i comunisti; quella riformista guidata da Saragat e legata alla rivista Critica Sociale e i giovani massimalisti, ma anticomunisti, di Iniziativa Socialista, trovarono un faticoso accordo che permise al partito di affrontare, unito, la campagna elettorale del referendum istituzionale (Repubblica o Monarchia) e le elezioni dell’Assemblea costituente, l’appuntamento storico del 2 giugno 1946.

I socialisti furono i più attivi nel sostenere la scelta repubblicana per il referendum e dimostrarono un’inaspettata consistenza elettorale, risultando il secondo partito, dopo la Democrazia Cristiana e il primo partito della sinistra, più forte del Partito Comunista Italiano (P.C.I.).

Il Partito Comunista era molto deluso per non essere il primo partito della sinistra italiana; il segretario del Pci, Palmiro Togliatti, continuò ad attaccare la componente riformista dei socialisti, ed in particolare Saragat, che era stato eletto presidente dell’Assemblea costituente.

La presidenza della Costituente, come secondo partito spettava al Psiup. Nenni pensò che mettere il capo dello schieramento riformista, all’interno del partito, Saragat, in una “cornice dorata”, in un’alta carica istituzionale, ne avrebbe impedito un’attiva partecipazione al dibattito politico, soprattutto interno.

De Gasperi che guidava un governo di larga maggioranza, ancora di unità antifascista, era informato della crisi interna dei socialisti ed invitava i riformisti ad andare avanti per la loro strada, tenuto conto che il quadro internazionale, sul finire del 1946, si stava delineando in un crescente clima di contapposizione tra U.SA e U.R.S.S.

Il 9 gennaio del 1947, si aprì, alla città universitaria di Roma, il XXV congresso del Psiup.

I cosiddetti “giovani turchi” della corrente di Iniziativa Socialista, in accordo con Saragat, presentarono al congresso un documento che denunciava una serie di pressioni con l’alterazione dei risultati, durante i congressi provinciali, molti celebrati con l’intervento in massa di militanti comunisti; Gian Matteo Matteotti, alla fine del suo intervento, chiese l’invalidazione del congresso. La richiesta fu subito respinta da Nenni, Lelio Basso e da molti esponenti dell’apparato del partito.

L’11 gennaio 1947, i delegati delle correnti di Critica Sociale e di Iniziativa Socialista abbandonarono il congresso e si riunirono a Palazzo Barberini per la costituzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (P.S.L.I), in seguito denominato Partito Socialista Democratico Italiano (P.S.D.I.), il Psiup si ridenominò Partito Socialista Italiano (P.S.I), per evitare che quel nome prestigioso fosse assunto dagli scissionisti.

Dei 115 deputati del Psiup, eletti all’Assemblea costituente, 52 aderirono alla nuova formazione d’impronta socialdemocratica. Il leader comunista Palmiro Togliatti poteva ritenersi soddisfatto come antico avversario dei socialisti: il partito che lo aveva superato alle elezioni del 1946, era dimezzato.

Stefano Gelati

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