
“Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte.”
Queste parole piuttosto abusate di D’Annunzio (ma altri grandi nomi hanno espresso lo stesso concetto in modo simile) calzano perfettamente in questo caso.
Stavo passeggiando per Mantova, città d’arte indubbiamente, ieri verso sera, quando ho dato un’occhiata allo smartphone: “Paolo Benvegnù è morto”.
La causa: un infarto. Qualche anno fa era stato operato al cuore (scrivo questo per prevenire i soliti commenti ignoranti su vaccini e dintorni), ma questo non gli aveva impedito di proseguire nella sua carriera musicale.
Di natura diversa, una fitta mi ha attraversato, lancinante.
Ho subito pensato: poche sere fa era in TV (su Rai 3 a “Via dei matti n.0” con Bollani e la Cenni), lui che così poco ha interagito con il media più popolare.
Poi ho pensato: quest’anno ha vinto l’autorevole “Premio Tenco” per il suo ultimo album “E’ inutile parlare d’amore”. Era un momento splendido per la sua carriera.
Poi, mentre la lama della notizia improvvisa attraversava la mia anima, ho pensato alla recente riedizione di “Piccoli fragilissimi film”, in cui Paolo Benvegnù si è circondato di alcuni tra i migliori musicisti italiani, per reinterpretare uno dei suoi album capolavoro, quello che lo ha lanciato come solista. Una specie di tributo di tanti alla grandezza di un album fondamentale per la nuova musica d’autore.
Lanciato dove? Stiamo parlando di underground, del luogo dove i veri talenti si confrontano. Stiamo parlando di Italia, uno dei mercati musicali più asfittici e vincolati a riti e luoghi obbligati. Molti tra voi, immagino, non sanno nemmeno chi fosse Paolo Benvegnù. Molti musicisti lo conoscono magari solo per sentito dire… e questo è già un po’ più grave.
Poi, tornando col pensiero all’esperienza diretta, ricordo di averlo visto in duo ad inizio anno, dal vivo al “Circolo Arci Zerbini” di Parma… un bellissimo club, ma non certo il Teatro Regio. Eppure nessuno può mettere in dubbio che Paolo Benvegnù meritasse il Regio. Non lo dubitava chi ha assistito a quell’emozionante concerto.
Ma evidentemente non era quello per lui il punto. Il punto era l’arte… “Fare della propria vita come si fa un’opera d’arte” appunto.
Lo era già da quando, con gli Scisma, si aggiudicò il Premio Ciampi con un album capolavoro: “Rosemary Plexiglas” (1997, vedi link alla fine dell’articolo).
Poi mi ricordo che in piazza a Sorbolo (nel 2007 o 2008 credo) c’eravamo noi, in trio, come ManìnBlù, ad aprire il suo concerto: lui era in duo (come al Circolo Arci Zerbini). Certo, è stata l’unica volta che gli ho parlato direttamente: eppure ricordo distintamente la sua gentilezza nell’approccio, la cura nel dirci che gli eravamo piaciuti, quasi nello sminuirsi prima di salire sul palco e sfoderare il suo talento.
Ieri ho letto tante, tantissime testimonianze, sui social: nello sconcerto sincero di artisti e musicisti, ognuno ha sottolineato l’umanità e la cura relazionale di Paolo.
Allora, credo che sia giusto ricordarlo, rischiando di far nuotare le proprie parole, con il rischio che affoghino nell’onda emotiva di queste ore.
Allora ci saranno quelli che… “io lo dicevo già da anni”: io mi ricorderò chi lo disse e scrisse effettivamente. Ci sono amici, musicisti, giornalisti, appassionati che in effetti lo dicevano (come lo dico io da tempo): molti altri lo diranno solo da oggi.
Allora, io credo che ora partirà l’onda della celebrazione. Sarà mista, come lo sono le mode, ma credo che sarà più forte ed autentica dei falsi “io lo dicevo da anni”.
Credo infatti, questo conta, che sarà riconosciuto giustamente il valore artistico di un cantautore che ha tenuto la direzione artistica verso l’alto in tutti questi anni.
Allora mi torna in mente un grande cantautore, il primo in Italia per molti, che se ne andò a 59 anni, dopo avere trascorso una vita con una progressione artistica e umana indiscutibile: tale Fabrizio De Andrè.
Mi torna in mente il “fare della propria vita come si fa in un’opera d’arte”, seguendo lo strano, originale, dolcemente tirannico percorso della creazione.
Credo che la nuova musica d’autore italiana – quella nata dopo la generazione dei giganti degli anni 70, quella nata dopo la disgregazione e polverizzazione delle ideologie, quella di oggi in sintesi – abbia un nume tutelare: Paolo Benvegnù.
Lo sarebbe stato comunque, lo era già un padre nobile in attività.
Non è stato un buon motivo per questo atroce scherzo di fine anno.
Un pensiero di cordoglio e vicinanza alla Famiglia.
Che la terra ti sia davvero lieve, Paolo.
Le tue canzoni sono un’eredità comune a chi ama la musica d’autore… Anzi, per far prima e meglio, la Musica.
Alberto Padovani
Link all’ascolto di Paolo Benvegnù https://open.spotify.com/playlist/37i9dQZF1DZ06evO0iU1aM?si=e23bc929c1614357
Link all’ascolto degli Scisma
https://open.spotify.com/intl-it/album/0D4H7lTzwRtipTw2ublNLf?si=Kvwn_lHqT8eNXug1pjLfDQ
Link a “Piccoli fragilissimi film”
https://open.spotify.com/intl-it/album/4lwbHo8Cn0Lcg87w9cQgdS?si=MgUBptz_TOC7Bpzh_53U1g
Link a “Piccoli fragilissimi film – Reloaded”
https://open.spotify.com/intl-it/album/32QJbcqoEtwH3uQ0leZUnz?si=zlc1ZaOEQam_gHyRCZomMg